Il 18 ottobre del 1909 nasceva a Torino Norberto Bobbio, filosofo e giurista italiano. La sua giovinezza, dirà, sarà “vissuta tra un convinto fascismo patriottico in famiglia e un altrettanto fermo antifascismo appreso nella scuola, con insegnanti noti antifascisti, come Umberto Cosmo e Zino Zini, e compagni altrettanto intransigenti antifascisti come Leone Ginzburg e Vittorio Foa”.

L'impegno politico

Nel 1942 Bobbio partecipa al movimento liberalsocialista fondato da Guido Calogero e Aldo Capitini e, nell’ottobre dello stesso anno, aderisce al Partito d’Azione clandestino. Nel 1953 è tra i protagonisti della lotta condotta dal movimento di Unità Popolare contro la legge elettorale maggioritaria e nel 1967 prende parte alla Costituente del Partito Socialista Unificato. Nel 1971 è tra i firmatari della lettera aperta pubblicata sul settimanale L’Espresso sul caso Pinelli.

Il 14 febbraio dell’anno successivo, scrivendo a Guido Fassò, affermava:

Questa nostra democrazia è divenuta sempre più un guscio vuoto, o meglio un paravento dietro cui si nasconde un potere sempre più corrotto, sempre più incontrollato, sempre più esorbitante (...) Democrazia di fuori, nella facciata. Ma dietro la tradizionale prepotenza dei potenti che non sono disposti a rinunciare nemmeno a un’oncia del loro potere, e lo mantengono con tutti i mezzi, prima di tutto con la corruzione (...) La democrazia non è soltanto metodo, ma è anche un ideale: è l’ideale egualitario. Dove questo ideale non ispira i governanti di un regime che si proclama democratico, la democrazia è un nome vano. Io non posso separare la democrazia formale da quella sostanziale. Ho il presentimento che dove c’è soltanto la prima un regime democratico non è destinato a durare (…) vedo questo nostro sistema politico sfasciarsi a poco a poco (...) a causa delle sue interne, profonde, forse inarrestabili degenerazioni.

La vita accademica

Nel 1979 viene nominato professore emerito dell’Università di Torino e nel 1984, ai sensi del secondo comma dell'articolo 59 della Costituzione italiana, avendo “illustrato la Patria per altissimi meriti” in campo sociale e scientifico, è nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini. 

A riconoscimento di un’intera vita dedicata alle scienze del diritto, della politica, della filosofia e della società riceve lauree honoris causa da molte università, tra le quali quelle di Parigi (Nanterre), Buenos Aires, Madrid (tre, in particolare alla Complutense) e Bologna.

Muore a 94 anni il 9 gennaio del 2004 all’ospedale Molinette di Torino, dov’era stato ricoverato il 27 dicembre per una crisi respiratoria. “Con lui se ne va davvero l’ultimo maestro, nel senso classico della parola - scriveva Repubblica - di quell’altra Italia, civile e laica, gobettiana, che cercò di declinare gli ideali rigorosi della giustizia e della libertà, ereditati dalle minoranze democratiche e virtuose del Risorgimento, in un Paese invece refrattario e incline storicamente al compromesso, agli uomini della Provvidenza, al trasformismo”. 

L'uomo del dubbio e del dialogo

In uno dei saggi di De senectute, in gran parte autobiografici, Bobbio scriveva di sentirsi “appartenente alla schiera dei mai contenti” e di essere “un uomo del dubbio”, un “pessimista d’umore e non di concetto”. 

“Mi ritengo un uomo del dubbio e del dialogo - diceva - Del dubbio, perché ogni mio ragionamento su una delle grandi domande termina quasi sempre, o esponendo la gamma delle possibili risposte, o ponendo ancora un’altra grande domanda. Del dialogo, perché non presumo di sapere quello che non so, e quello che so metto alla prova continuamente con coloro che presumo ne sappiano più di me”.

“A chi un giorno mi chiedeva con quale brano di uno dei miei scritti amerei definirmi - raccontava - indicai la conclusione della prefazione di Italia civile: “Dalla osservazione della irriducibilità delle credenze ultime ho tratto la più grande lezione della mia vita. Ho imparato a rispettare le idee altrui, ad arrestarmi davanti al segreto di ogni coscienza, a capire prima di discutere, a discutere prima di condannare. E poiché sono in vena di confessioni, ne faccio ancora una, forse superflua: detesto i fanatici con tutta l’anima”. 

“La formula socialismo liberale - affermava nel 1992 - è semplicistica e ambigua. Io ho seguito un’altra strada: è la via più concreta, e anche emotivamente più eccitante, della politica dei diritti, degli uomini e delle donne, dei bambini e dei vecchi, dei malati e degli emarginati, in difesa di tutte le minacce che possono venire alle libertà e alla dignità dell’uomo dall’irresistibile e irreversibile progresso tecnico. Di fronte a una nuova carta dei diritti cadrebbero tutte le differenze artificiose e sempre più ridicole, fra comunisti, ex comunisti, socialisti delle varie denominazioni, che, dividendo la sinistra, l’hanno sempre indebolita”.