Ancora una volta il 14 giugno le strade della capitale si riempiono di persone, carri e rivendicazioni nella giornata del Roma Pride e ancora una volta la nostra organizzazione è al fianco della comunità Lgbtqia+, come da lunghissima tradizione, condividendo quelle rivendicazioni: le stesse che proprio un anno fa acquistavano uno specifico valore per la Cgil con la formalizzazione di un protocollo, un accordo di percorso sottoscritto dall’organizzazione e dalle più rappresentative associazioni Lgbtqia+ del nostro Paese.

Quadro complicato

Un anno che in più occasioni non è andato nella direzione che avremmo desiderato. Da un punto di vista internazionale, il perdurare delle situazioni di conflitto, l’esito delle elezioni negli Stati Uniti, i nuovi divieti disposti dal governo fascista ungherese, hanno reso ancor più complicato un quadro già preoccupante per tutte le persone e per le comunità a rischio di discriminazione e lo hanno fatto aggiungendo maggiore violenza.

Compressione dei diritti

L’attacco ai diritti, individuali e collettivi, continua a essere una costante delle politiche di estrema destra e non a caso una parte assai significativa delle decisioni della nuova amministrazione Usa sono andate proprio nella direzione della compressione di questi diritti: vale la pena ricordare l’esclusione delle persone trans dalle forze armate e la forsennata battaglia contro le politiche cosiddette Dei, diversity, equity and inclusion, che mirano a promuovere la diversità, l'equità e l'inclusione.

Ricatto Usa

Una battaglia culminata con l’intimazione alle aziende europee, incluse quelle italiane, a dismettere i loro programmi Dei se vogliono continuare ad avere rapporti commerciali con gli Stati Uniti. Questa situazione ci conduce a due riflessioni. La prima: farebbe sorridere, se non fosse tragico, che il nostro autarchico e sovranista governo assista impassibile a un’invasione di campo così grave e violenta nella vita delle aziende italiane, senza battere ciglio. Dopo anni di lamenti elevati al cielo contro l’Unione Europea che vorrebbe sostituirsi ai governi nazionali, l’intromissione nordamericana appare accettabile perché evidentemente in linea con le politiche repressive e anti-diritti dell’estrema destra nostrana.

Servono accordi sindacali

La seconda: da anni tentiamo di ripetere in ogni sede possibile che ben vengano le policy aziendali di diversity e inclusion ma che è necessario blindare quelle politiche con accordi sindacali. Se è vero, infatti, che anche gli accordi possono essere disdettati, sicuramente è più facile fare marcia indietro rispetto a policy unilaterali che si configurano come poco più che gentili concessioni. Perché è evidente che chi è portatore di interessi commerciali e aziendali fiuta l’aria e se questa è favorevole all’estensione dei diritti gli va appresso; ma nel momento in cui l’aria politica cambia, e ahimè è cambiata, nessuno vuole mettersi di traverso rispetto a un potere politico che si presenta in tutta la sua arroganza e minacciosità.

Capitolo Ungheria

Il capitolo Ungheria merita un’attenzione a parte: è vero che negli anni ci siamo dovuti abituare ad assistere a fenomeni regressivi come le cosiddette “Lgbt free zone” in Polonia, ma quello che sta accadendo in Ungheria è del tutto sovrapponibile rispetto alle politiche putiniane: divieto dei Pride (addirittura l’Ungheria lo ha trasformato in divieto di livello costituzionale) e della fantomatica propaganda gender. La differenza sta nel fatto che ciò che accade all’interno dell’Unione Europea dovrebbe avere per noi ben altra valenza e ben più veemente reazione da parte delle autorità europee di fronte al totale disprezzo di un Paese membro nei confronti dei principi fondativi dell’Unione.

E invece assistiamo per ora a timidissime quanto inconcludenti reazioni. Sarebbe più che mai utile che tutti i Pride europei mettessero al centro la stigmatizzazione delle politiche ungheresi e la solidarietà nei confronti della comunità locale così pesantemente ferita.

Referendum, lavoro e discriminazioni

Questo Pride, infine, si colloca in un momento assai particolare per la nostra organizzazione. La sconfitta rappresentata dal mancato raggiungimento del quorum nei referendum su lavoro e cittadinanza non deve indurre rassegnazione, ma ci deve consentire di ripartire da alcuni dati da valorizzare anche nei confronti della comunità Lgbtqia+ del nostro Paese: innanzitutto aver riportato lavoro e precarietà al centro del dibattito politico. In secondo luogo aver ottenuto l’adesione di quasi 14 milioni di persone su quei temi.

E nel rapporto con le persone a rischio discriminazione, appartenenti o meno alla comunità Lgbtqia+ essere riusciti a far passare il messaggio che un mercato del lavoro caratterizzato dalla precarizzazione penalizza in misura ancor più forte le comunità più esposte alla discriminazione: perché la moltiplicazione dei contratti a termine consente l’espulsione delle persone “indesiderate” senza alcuna conseguenza, e perché il mantenimento del reintegro nel solo caso del licenziamento discriminatorio senza il paracadute generale del reintegro in ogni caso di mancanza di giusta causa, rende necessaria la prova processuale della discriminazione, un percorso accidentato e pieno di ostacoli.

Insomma, come ogni anno, abbiamo delle ragioni in più per partecipare e sostenere tutti i Pride a partire da quello che si svolge a Roma.

Sandro Gallittu, responsabile dell'ufficio nuovi diritti della Cgil nazionale