“Le parole sono importanti”. Una citazione tratta da un film di culto che da oltre trent’anni sistematicamente peschiamo nel cilindro delle citazioni, per sembrare intelligenti alle cene o scrivere l’attacco di un pezzo come questo. Ma è davvero così? Le parole sono davvero importanti? O sono soltanto parole? Viene da chiederselo almeno una volta al giorno nell’epoca del “tutto vale, della parolaccia libera, della cancel culture, del politicamente corretto e degli eufemismi come ideologia”. Un’epoca schizofrenica e contraddittoria, in cui i nani non sono più nani, ma “i sette diversamente alti”. E però, al tempo stesso, nei pezzi più streammati su spotify si può continuare a dare della “troia” a una donna senza farsi troppi problemi.

Poco tempo fa Gino Cecchettin ha scritto una lettera appello ai musicisti trapper per invitarli a mettere da parte i loro testi sessisti. Cecchettin ha raccontato in un’intervista a Repubblica di avere avuto lo spunto dopo essere stato invitato all’Aperyshow di Padova, un grande evento di beneficienza nel quale si sarebbero esibiti anche dei musicisti trap. Da qui l’idea di scrivere loro una lettera aperta e invitarli all’incontro e alla riflessione.

Gino Cecchettin

Ma può esistere la musica trap senza il machismo? O sarebbe come chiedere ai musicisti reggae di togliere la marijuana da tutte le loro canzoni? Il tema è quanto alcune espressioni musicali di questo decennio siano intrinsecamente legate ad una subcultura maschilista, che di fatto è un patriarcato 2.0, tecnicamente evoluto, digitalizzato.

Basta farsi un giro più approfondito sui social, per esempio, per entrare a piene mani nel fenomeno degli incel. Peraltro, dopo la pubblicazione di un nostro video sui social di Collettiva su questo argomento, in centinaia hanno bombardato il profilo di commenti sessisti e offensivi che, loro malgrado, confermavano proprio la tesi espressa nel video.

A volte non serve dare della “cagna” a una donna per offenderla, basta semplicemente chiamarla “signora”, con il chiaro intento di prendere le distanze, sminuirne la professionalità e il ruolo. Ma se alcuni ragazzi usano un linguaggio sessista sui social, alcune coetanee se ne sentono lusingate. Su TikTok spopola il “trend malumore”, con il quale le ragazze si vantano di uscire con tipi belli e dannati che le maltrattano.

Prima della lettera appello di Cecchettin al mondo della musica, era scoppiato il caso Tony Effe. Chiamato a Roma dal sindaco Gualtieri per far esultare la piazza di Capodanno, si era poi visto frettolosamente ritirare l’invito, perché al sindaco era stato fatto notare che forse le sue canzoni erano un po’ troppo volgari e sessiste. Artisti e artiste non hanno esitato a schierarsi dalla parte del “povero” Effe e a parlare di “censura nei confronti della musica che è, e deve essere libera”. In difesa del trapper romano sono corse addirittura artiste del calibro di Noemi, peraltro tra le ospiti fisse sul palco di Una Nessuna Centomila (fondazione che si occupa di contrastare la violenza sulle donne).

Il sempre “povero” Tony poi – su suggerimento evidente di una squadra di sagaci comunicatori – è comparso sul palco dell’Ariston con l’aria da bravo ragazzo de borgata, un po’ cane bastonato, un po’ Califano, un po’ “musicarello”. Le parole sono importanti, dunque? Forse non così tanto, se basta cancellarle subito dopo. Se la libertà di espressione significa poter dire tutto, ma proprio tutto. Nessuna morale, dunque, alla fine di questa breve storia. Nessun intento di moralizzare.

Solo quello di riflettere sul fatto che le parole sono solo parole, e diventano importanti a seconda di chi le dice e di chi le ascolta. Purtroppo. D’altronde sessismo, machismo, violenza verbale sono esistiti da sempre nella musica, solo che per decenni ce li siamo fatti andare bene. Sintomo della società che cambia, delle sensibilità del tempo. Sintomo di un problema – quello della violenza di genere – che non è sconfitto, ha solo assunto forme nuove.

In fondo, da Bella senz’anima a Bella stronza è n’attimo.

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