Dopo oltre settanta anni dalla sua nascita, e dopo aver aggiunto in anni recenti i riconoscimenti del “Premio Strega giovani” e “Premio Strega europeo”,  la Fondazione Maria e Goffredo Bellonci si misura ora anche con la creazione letteraria in versi, istituendo la prima edizione del Premio Strega Poesia, che il prossimo 5 ottobre, presso il Tempio di Venere a Roma, all’interno del Parco Archeologico del Colosseo, incoronerà il primo vincitore della sua storia. Nella cinquina finalista che si contenderà il prestigioso titolo Silvia Bre (Le campane, Einaudi), Umberto Fiori (Autoritratto automatico, Garzanti), Vivian Lamarque (L’amore da vecchia, Mondadori), Stefano Simoncelli (Sotto falso nome, Pequod), e Christian Sinicco (Ballate di Lagosta, Donzelli). Abbiamo rivolto alcune domande a quest’ultimo, non solo poeta ma sindacalista Filt-Cgil, dipendente in una delle concessionarie autostradali del Triveneto in una zona di transito tra Nord Europa, Adriatico e Balcani. Anche perché, lo sappiamo, con la cultura non si mangia. Men che mai con la poesia.  

Da dove parte e come ha trovato forma la scrittura di questa raccolta?
Inizia da un viaggio fatto nel 2006 a Lagosta. Un viaggio solitario, durante il quale ho tenuto un diario ispirato molto dalla natura e dal paesaggio, compreso l’evidente affastellamento degli edifici per mano umana a Spalato: come il Palazzo di Diocleziano, non solo meta turistica, dove si nota quanto le persone nel corso dei secoli lo abbiano occupato, lo abbiano vissuto, e cosa sia accaduto nel tempo, con le varie costruzioni di epoca moderna, sino ad arrivare a quanto accaduto dopo la guerra in Jugoslavia, la prima dopo la seconda guerra mondiale, e i conseguenti riflessi del Capitalismo in Europa. Da questa prospettiva, il personaggio-individuo della raccolta Ballate di Lagosta andrà su quest’isola dell’Adriatico, del Mediterraneo: isola molto poco conosciuta che diventa il termine del suo viaggio, che lì si interrompe, quasi come Ulisse... Un’isola abitata da numerosi personaggi, antieroi di questa epoca.

La tua è una scrittura anche di confine, un confine che spesso cambia la sua strada, o al contrario diviene luogo di contaminazione culturale, come Trieste. Quanto ha influito nei versi di questa raccolta il vissuto delle tue origini?
Sicuramente molto. A Trieste abbiamo vissuto il confine come dato di fatto. Una realtà che per molte persone di questo mondo è un dramma e una tragedia. Il nostro è un confine permeabile, almeno fino alla Slovenia di Schengen. Di conseguenza, la vicinanza al confine (10-15 km), per noi è sempre una presenza di un certo tipo, con separazioni linguistiche e culturali che si intrecciano per via di questo confine. E l’attraversare il confine si unisce a quella promessa dei grandi politici alla fine della seconda guerra mondiale, la promessa di un’Europa con valori che sono ancora da difendere, per superare i limiti geografici e dare voce a quelle persone che scappano da conflitti e guerre, per dare vita a una cittadinanza del mondo, non barricata dietro a un sistema protettivo e protezionista. In questo senso, credo che il ruolo attivo e politico dell’Europa non debba fermarsi all’Europa stessa, ma condividere i nostri valori civili anche in altri luoghi del mondo.

Tu ti occupi molto di forme dialettali, che si ritrovano anche in questa raccolta con un paio di esergo tratti da Saba. Esiste ancora uno spazio poetico che utilizzi il dialetto?
Mi sono occupato di questo con una raccolta del titolo L’Italia a pezzi nel 2014, 800 pagine di una mappatura completa della poesia dialettale in Italia, anche se poi ho scoperto altre persone scrivere in dialetto e lingue minoritarie, lingue parlate localmente. D’altronde, il dialetto è stato uno dei temi della poesia del ‘900: penso non solo a Pasolini ma, per esempio, a Franco Brevini. Per me è stato naturale indagare in tutta Italia, spinto anche dal fatto che sin dall’inizio della mia attività poetica sono stato subissato da richieste di poeti dialettali, in particolare dopo un’intervista a Franco Loi per il “Premio Montale”, agli inizi degli anni 2000. Da lì, tutti i poeti dialettali iniziarono a mandarmi i loro versi... Così ho costruito un archivio nel corso degli anni. In questo mio libro, il dialetto nasce dall’amore nei confronti di Umberto Saba, anche se Saba non ha scritto in triestino; di conseguenza non potevo fargli il verso se non utilizzando il dialetto, come già il poeta triestino Virgilio Giotti fece in maniera egregia. Danica e la cavra, dedicata a Saba in triestino, è forse una sorta di provocazione rispetto alla sua poetica, vagamente sarcastica, che segue la capra come animale per anni cibo delle genti del Mediterraneo; quindi, quando Saba scriveva di questo animale, aveva in mente il simbolo di una civiltà.

La poesia, non solo in Italia, fa sempre più fatica a farsi pubblicare. Alla luce di questo, che effetto fa trovarsi in finale al prossimo Premio Strega Poesia?
In realtà ci sono più di mille pubblicazioni di poesia in Italia ogni anno, ma sono a spese dei poeti… Quindi anche poeti di medio o grande valore spesso pubblicano a pagamento, o sperano di aggiudicarsi premi per poter pubblicare. Questa è la situazione in Italia. Secondo me manca un traino tra le grandi case editrici e i piccoli/medi editori. Sarebbe importante che i grandi gruppi editoriali pubblicassero diversi autori, anche su base territoriale, così da beneficiarne anche le piccole case editrici, con volumi meno corposi o plaquettes degli stessi poeti e autori. In questo modo, il rapporto promozione-distribuzione diventerebbe più collettivo, meno scollato. Purtroppo non c’è scouting da parte delle grandi case editrici, ma è questo il modo di andare a verificare l’esistenza di poeti sul territorio che abbiano delle qualità, perché non si può pubblicare solo chi ha 70 anni… Forse ci vorrebbe maggior passione e qualità nella direzione delle collane, così che le case editrici siano anche laboratorio per costruire progetti a lungo termine.

E sul Premio Strega?
Beh, sono l’unico candidato in cinquina con meno di 50 anni, ed è bello essere considerato come uno dei poeti più rappresentativi della propria generazione da un tale comitato scientifico. Sono contento, perché nel mio percorso poetico credo di aver fatto sempre riferimento a un certo tipo di posizioni, anche politiche. Se posso dire, questo aspetto di vicinanza della mia poesia alla realtà ritengo sia stato tenuto in considerazione dalla giuria; ecco perché questa selezione rappresenta per me non il punto di arrivo ma di partenza, per una comunicazione ancora più efficace su determinati argomenti.

Per esempio?
Esistenza e migrazione: di noi tutti, dalla nascita alla morte. Se posso concedermi una digressione politica, dovremmo ricordare a questo governo che siamo tutti migranti, ma molti di noi sono naufraghi. E bisognerebbe ricordare a chi ha potere nella comunicazione che la poesia deve occupare anche spazi di comunicazione politica e intellettuale, come sapeva fare Pasolini, e con lui Franco Fortini, per me riferimenti irrinunciabili.