Il fenomeno mafioso in Lombardia e il suo livello di infiltrazione hanno mutato nel corso degli anni di questo secolo i loro meccanismi e strumenti operativi, per arrivare a un sistema di organizzazione che consenta di controllare più e meglio le articolazioni politiche ed economiche dell’intera Regione, a partire dal suo capoluogo. Per comprenderne i suoi insediamenti attuali, pericolosi e ben nascosti, aiuta non poco la lettura di Mafia ed economia. Il rischio criminale in Lombardia (Futura editrice, pp.235, euro 15), uno studio realizzato dall’Università degli Studi di Milano attraverso il lavoro e le firme di Nando Dalla Chiesa e Andrea Carnì, le cui voci abbiamo raccolto in questa intervista.   

Come si lavora a quattro mani per realizzare un libro del genere?
Si lavora bene se si ha dietro un ambiente di lavoro capace di offrire motivazioni, se vi è una condivisione di fondo del dibattito scientifico, e in particolare una condivisione di sentimenti etico-civili, tanto più importante di fronte a una materia come questa, che chiede di sapere combinare nettezza e articolazione dei giudizi, linearità e complessità degli orientamenti di ricerca. Naturalmente occorre sapere mettere a frutto in un confronto continuo le differenti propensioni ed esperienze. Il più anziano offrendo bibliografie oggi poco frequentate e i tesori di conoscenze acquisiti in decenni di studi e ricerche, il più giovane la curiosità per questioni e metodologie (e tecnologie) che si sono fatte strada più recentemente.
C’è bisogno di sapersi ascoltare, di sapere valorizzare le relazioni e le conoscenze di cui ciascuno dispone – anche in base all’anagrafe –, integrandole correttamente e senza chiusure in un progetto comune sempre aperto. Questo per esempio era un libro nato con l’idea di dividerlo in due parti. Ma la discussione continua, anche con altri docenti e ricercatori, su questo tema e su temi analoghi, ha creato un larghissimo campo di omogeneità di punti di vista e di linguaggio. Così è nato un libro capace di fondere passioni e voglia di partecipare, di “esserci” in un dibattito da entrambi ritenuto vitale per la democrazia italiana. Ed è stato tutto facile. Capitoli firmati, secondo le tradizioni scientifiche, ma un testo unitario, specchio di due storie diverse e vicine.

Che tipo di quadro emerge della situazione e degli attuali meccanismi di infiltrazione della criminalità organizzata in Lombardia?
In Lombardia si sta giocando la partita decisiva tra Stato e Mafia. A cinquant’anni dalla fondazione della prima “locale” di ndrangheta nella regione, Mafia ed economia dimostra che il problema non è più solo riconoscere la Lombardia come seconda regione italiana di ‘ndrangheta: ma fare un passo in più e capire che proprio in questa regione, e in particolare a Milano, il rischio è che cambi natura e campo una parte dell’economia nazionale. La presenza mafiosa è ormai capillare, radicata e resistente: non vi è provincia né settore economico che possa dirsi completamente immune. La mafia non si è trasformata in corruzione o in criminalità economica: se ne serve. I tratti propriamente mafiosi non si dissolvono. Certo la ’ndrangheta si mescola con l’economia “legale” talmente bene che, osservando la documentazione e i contratti di appalto, a volte sembra addirittura scomparire dalla scena. Ma è sempre lì, a fare ciò che le riesce meglio. Senza realizzare alcuna «delocalizzazione», come si continua a dire equivocando sui concetti economici. Ma conquistando nuovi territori e nuovi settori. Non è spostamento territoriale ma allargamento, conquista. Perché la mafia, in Lombardia, viene a fare la mafia.

Quale ruolo ha avuto e può avere il sindacato nel contrastare questo fenomeno?
Il sindacato può e deve giocare un ruolo importante nella formazione, nell’informazione e, di conseguenza, nella prevenzione. Formare dirigenti, delegati e rappresentanti sindacali è fondamentale per renderli più consapevoli ed efficaci nel riconoscere i segnali di infiltrazione o presenza del fenomeno mafioso. All’interno di Mafia ed economia mettiamo in luce alcuni indicatori premonitori di possibili infiltrazioni, offrendo così uno strumento utile anche per l’intervento pratico delle sindacaliste e dei sindacalisti. Altrettanto cruciale è costruire una rete informativa solida tra le diverse categorie sindacali per attivare tempestivamente dinamiche di prevenzione e, attraverso le denunce, di contrasto. La lotta per la legalità e contro le mafie non è altro rispetto all’attività sindacale: deve essere parte integrante e costitutiva dell’azione sindacale.

Il vostro libro contiene anche un questionario, somministrato a circa 20.000 persone. Che tipo di riscontro avete avuto?
Le oltre diciottomila persone che hanno risposto al questionario costituiscono un punto di vista ampio e rilevante sulla realtà della regione, osservata attraverso la lente centrale della ricerca. I risultati restituiscono una percezione diffusa della presenza mafiosa tra i lavoratori lombardi. L’84% degli intervistati considera la mafia un'organizzazione criminale, mentre il 66% la vede come un sistema di comportamenti illegali. Colpisce il dato secondo cui circa il 12% ha avuto esperienze dirette o indirette di pratiche mafiose nel proprio ambiente di lavoro. E sebbene la maggior parte degli intervistati (60%) non abbia riscontrato fenomeni mafiosi nella sua attività lavorativa, un significativo 40% vi ha rilevato comunque segnali di illegalità. Pur non essendo un campione statisticamente rappresentativo, si tratta del più ampio questionario mai realizzato su questo tema in Lombardia – e forse anche a livello nazionale.