“Molti mi dicono che sono un artista, ma non ci tengo a passare per artista, sono un fotografo artigiano”. Con queste parole si racconta Gianni Berengo Gardin, maestro della fotografia che nella sua lunga ricerca ha da sempre coniugato il valore documentaristico delle immagini con la connaturata potenza evocativa di questo linguaggio. A Napoli, nella cornice di Villa Pignatelli, è stata inaugurata il 6 aprile la personale dedicata al fotografo e curata da Margherita Guccione, Alessandra Mauro e Marta Ragozzino, promossa dalla Direzione regionale Musei Campania e prodotta dal MAXXI, fino al 9 luglio 2023. Straordinario racconto visivo dell’Italia dal dopoguerra a oggi, “L’occhio come mestiere” raccoglie oltre 200 fotografie e riprende il titolo del celebre libro del 1970 curato da Cesare Colombo, un’antologia con le immagini del maestro che testimoniava l’importanza del suo sguardo, del suo metodo e della sua capacità fuori dal comune di narrare il suo tempo.

L’esposizione è un viaggio nella fotografia di reportage e d'indagine sociale, ma soprattutto nel modo di stare dietro alla macchina fotografica, con quel suo peculiare approccio artigianale. Berengo si definisce un “comunista fuori dalle righe”, non tanto per aver letto i testi importanti del comunismo, ma per aver passato molto tempo in fabbrica con gli operai, a catturarne il quotidiano.

Da Venezia- città delle affinità elettive per il maestro - il percorso espositivo arriva infatti fino alla Milano dell’industria, delle lotte operaie, degli intellettuali - in mostra, tra gli altri, i ritratti di Gio Ponti, Ugo Mulas, Dario Fo - alle risaie del vercellese e giù fino in Sicilia. E poi i celebri reportage dai luoghi di lavoro realizzati per Alfa Romeo, Fiat, Pirelli e soprattutto Olivetti, con cui collabora per 15 anni. Accanto all’indagine sul mondo del lavoro, quella sulla salute mentale: l'esposizione ospita infatti anche una sezione dedicata alle immagini di denuncia sugli ospedali psichiatrici, pubblicate nel volume uscito nel 1968 “Morire di classe”, che documentavano per la prima volta le condizioni all’interno di queste vere e proprie prigioni.

Villa Pignatelli diventerà, fino al 9 luglio, lo spazio di un lungo viaggio nella storia italiana, ma anche nella poetica di Berengo Gardin, alla scoperta dei caratteri peculiari della sua ricerca: la centralità dell’uomo e della sua collocazione nello spazio sociale; la natura fisica e artigianale della sua produzione; l’adesione impegnata a una concezione della fotografia come documento, ma senza mai rinunciare all'arte.  

Attraverso la scansione di un QR code, sarà inoltre possibile visitare la mostra accompagnati dalla voce proprio di Gianni Berengo Gardin, che racconta in prima persona aneddoti e ricordi legati alla sua vita personale e professionale.