Il 4 maggio del 1929 nasceva a Ixelles, in Belgio - figlia di un’aristocratica e un diplomatico - Audrey Hepburn. Diva e icona degli anni d’oro della storia del cinema, indimenticabile principessa Anna di Vacanze romane, Sabrina, Holly in Colazione da Tiffany, Audrey Hepburn ha una parte della sua vita rimasta finora poco nota: quella di staffetta partigiana ed eroina della resistenza olandese durante la Seconda guerra mondiale.

Una parte che non reciterà in un film, ma visse nella realtà, della quale l’attrice non parlerà mai in pubblico. Nata a Bruxelles da padre inglese e madre olandese, Audrey, a soli 14 anni, prende accordi con la sua famiglia per nascondere nella loro casa un paracadutista britannico, rimasto disperso dopo la battaglia di Arnhem.

Da quel momento la sua esistenza cambia per sempre. Non solo prende parte all’operazione di celare la presenza del militare alleato nella propria abitazione, ma inizia anche a compiere pericolose missioni come staffetta per portare messaggi alle formazioni partigiane.

Parteciperà, ballando, a raccolte di fondi per finanziare la Resistenza e presterà anche servizio come crocerossina assistendo i soldati alleati. Tra questi anche un giovane Terence Young che in seguito la dirigerà ne Gli occhi della notte.

“Ora capisco perché le parole 'Bene', 'Male', 'Amore' e 'Misericordia' fossero così importanti nella sua narrativa - scrive nella prefazione al volume Dutch Girl: Audrey Hepburn and World World II Luca Dotti, il figlio più giovane dell’attrice, avuto con lo psichiatra italiano Andrea Dotti -. Capisco anche perché è stata aperta su certi fatti e perché ha preferito tenere per sé tante altre cose. Invece di nominare luoghi famosi di Beverly Hills, quando parlava delle cose importanti nella sua vita, mia madre nominava sempre posti impronunciabili in Olanda. I ricordi del red carpet erano sostituiti da episodi della Seconda guerra mondiale che riusciva a trasformare in racconti per bambini”.

Nel settembre del 1992, al ritorno da un viaggio in Somalia fatto a scopo benefico (poco tempo dopo la sua ultima apparizione cinematografica nel 1988, la Hepburn fu nominata ambasciatrice speciale e importante dell’Unicef. Da quel momento fino alla sua morte si dedicherà all’aiuto dei bambini dei paesi poveri del mondo), l’indimenticabile ‘Sabrina’ scopre di avere un male incurabile che nel giro di pochi mesi la condurrà alla morte.

Si spegnerà il 20 gennaio 1993, a soli 63 anni. “C’è una battuta di Vacanze romane - scriveva quel giorno Repubblica - che illustra bene, oltre al suo personaggio nel film, la persona Hepburn. “Quello di cui il mondo ha bisogno è che si torni alla dolcezza e al senso morale” diceva la principessa all’amico Gregory Peck. Sono passati quarant'anni, ma quando dai teleschermi, nei mesi passati, il viso segnato, stanco e sempre dolcissimo di Audrey Hepburn appariva, a nome dell'Unicef, a ricordare il dovere che i paesi ricchi hanno di aiutare i paesi poveri a superare la tragedia della fame, a chiedere di dare per i bambini dei paesi in guerra le cui immagini cerchiamo quotidianamente di dimenticare, la dolcezza e il senso morale che il mondo non ha trovato li si leggeva sulla faccia di Sabrina, di Arianna, di Eliza Doolittle”.

“Nonostante la durezza della vita - diceva il suo amico del cuore, lo stilista Hubert de Givenchy nel ricordarne le esequie - Audrey aveva saputo conservare dentro di sé una parte d’infanzia. E quella magia, ha speso la sua vita a volercela restituire. È questo che ha fatto di lei una fata, una dolce fata ispiratrice di amore e di bellezza. Questo genere di fate non se ne va mai del tutto”.

La loro storia continua. La Resistenza continua.