“Dite tante volte una cosa - anche se falsa - con convinzione e in tanti ci crederanno”. È il meccanismo che anima e alimenta - a tutti i livelli - le fake news ma è anche un metodo propagandistico classico nei regimi.

Mussolini ha fatto anche cose buone.
Non sono stati mica i fascisti. Erano i nazisti quelli cattivi.
I partigiani mica erano dei santi, sai quante ne hanno combinate? Li difendete perché erano - e siete - un branco di comunisti che ancora si diverte a cantare Bella ciao.
Li hanno uccisi perché erano italiani e comunque via Rasella è colpa loro. Se si fossero consegnati non sarebbe morto nessuno!

“Una falsa notizia - specificava Marc Bloch - è solo apparentemente fortuita, o meglio, tutto ciò che vi è di fortuito è l’incidente iniziale che fa scattare l’immaginazione; ma questo procedimento ha luogo solo perché le immaginazioni sono già preparate e in silenzioso fermento”. Le immaginazioni sono già preparate e sono - spesso e volentieri - più o meno consapevoli bugie. Bugie troppo spesso diventate false verità comuni che abbiamo il dovere di smontare, rispondendo punto per punto. Lo abbiamo già fatto con il fascismo, facciamolo con i falsi miti sulla Resistenza ed i partigiani. Anche i nostri rappresentanti delle Istituzioni (maiuscolo a prescindere da tutto, tutte e tutti) sembrano avere le idee confuse. E allora proviamo a raccontare bene le cose, con calma e dal principio.

Il partigiano: italiano, bianco, uomo… sicuri?

“ITALIANI - recitava un manifesto affisso sui muri della città di Bologna -, i Polacchi vi portano la Libertà. I primi che nel 1939 si opposero alla Tirannia che sopra ogni cosa amano la Libertà dell’UOMO e della NAZIONE che nella lotta per la LIBERTÀ e la GIUSTIZIA non cesseranno mai. E che a costo di qualunque sacrificio rigetteranno la schiavitù! ITALIANI Combattiamo per la NOSTRA e VOSTRA LIBERTÀ”.

Probabilmente non tutti lo sanno, ma sono state oltre cinquanta le nazionalità presenti nella Resistenza italiana. Il caso più numeroso, più noto e studiato è quello dei partigiani sovietici. Ma hanno contribuito alla nostra liberazione uomini e donne jugoslavi, polacchi, cechi, slovacchi, ungheresi, danesi, olandesi, austriaci, tedeschi, indiani, australiani, irlandesi, africani. Allo stesso modo numerosi sono stati gli italiani che hanno aiutato i partigiani di altre nazioni nella loro battaglia contro il fascismo e i suoi alleati: i volontari antifascisti nella guerra di Spagna sono l’esempio più noto ma non l’unico ma non l’unico.

La “banda Mario” - uno dei primi gruppi della Resistenza marchigiana operante alle pendici del Monte San Vicino, tra San Severino e Matelica, sotto la guida dell’ex prigioniero istriano Mario Depangher - è composta da undici etnie. Tra i membri della brigata figurano anche eritrei, etiopi, somali. Non è l’unico caso di partecipazione africana alla nostra Resistenza, ma la Banda Mario costituisce un caso unico perché nel gruppo c’erano ascari e civili, uomini e donne.

Il ruolo delle donne

Stando ad alcuni calcoli fatti dall’Anpi, furono 35 mila le partigiane combattenti, 20 mila le patriote con funzioni di supporto, 70 mila le donne appartenenti ai Gruppi di difesa per la conquista dei diritti delle donne, cinquemila circa quelle arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti, più o meno tremila le deportate in Germania.

Però quando si parla di partigiani - sia nel bene che nel male - si usa impropriamente solo il maschile. Pochi sanno, ad esempio, che durante la Seconda guerra mondiale sui monti liguri esisteva una brigata tutta femminile: la brigata Alice Noli. Sono 180 tra operaie, lavoratrici, donne dei quartieri. La più giovane, Adele Rossi, ha 15 anni e muore in combattimento, la più anziana ne ha 72, “Nonnina”.

Sono successe cose terribili ma non sono stati mica i fascisti. Le stragi le hanno fatte i nazisti

L’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia si compone di una banca dati e di materiali di corredo (documentari, iconografici, video) correlati agli episodi censiti, ospitati all’interno del sito web. Nella banca dati sono state catalogate e analizzate tutte le stragi e le uccisioni singole di civili e partigiani uccisi al di fuori dello scontro armato, commesse da reparti tedeschi e della Repubblica Sociale Italiana in Italia dopo l’8 settembre 1943, a partire dalle prime uccisioni nel Meridione fino alle stragi della ritirata eseguite in Piemonte, Lombardia, Veneto e Trentino Alto Adige nei giorni successivi alla liberazione. 

I risultati dell’indagine hanno permesso di censire oltre cinquemila episodi, inseriti nella banca dati, per ognuno dei quali è stata ricostruita la dinamica degli eventi, inserita nello specifico contesto territoriale e nelle diverse fasi di guerra, e accertata l’identità delle vittime e degli esecutori (quando possibile).

Un lavoro enorme che ha individuato un totale di 5.862 eccidi, nei quali hanno perso la vita 24.384 persone (53% civili, 30% partigiani). Una media di 40 uccisi e oltre nove episodi al giorno nel corso di 20 mesi. Una violenza inaudita scatenata unicamente dai tedeschi nel 66% dei casi, dai soli fascisti nel 22% dei casi, da tedeschi e fascisti insieme nel 14% dei casi.

Li hanno uccisi perché italiani. Se si fossero consegnati dopo via Rasella non sarebbe morto nessuno

Il falso argomento secondo cui ai gappisti romani sia stata data la possibilità di consegnarsi per scongiurare la rappresaglia è stato smentito dagli stessi Kappler e Kesselring, i quali dichiararono - in sede processuale - che nessun manifesto, nessun comunicato radio erano stati diffusi per avvertire la città di Roma dell'imminente strage.

Solo il 25 marzo, i romani vennero a sapere, dalle colonne de Il Messaggero, che l‘ordine era già stato “eseguito”.
 

“Nel pomeriggio del 23 marzo 1944 - si legge nel comunicato nazista che rende nota la strage di Via Rasella - elementi criminali hanno eseguito un attentato con lancio di bombe contro una colonna tedesca di polizia in transito in via Rasella. In seguito a questa imboscata, trentadue uomini della polizia tedesca sono stati uccisi e parecchi feriti. La vile imboscata fu eseguita da comunisti-badogliani. Sono ancora in atto le indagini per chiarire fino a che punto questo criminoso fatto è da attribuirsi a incitamento angloamericano. Il Comando tedesco è deciso a stroncare l’attività di questi banditi scellerati. Nessuno dovrà sabotare impunemente la cooperazione italo-tedesca nuovamente affermata. Il comando tedesco, perciò, ha ordinato che per ogni tedesco ammazzato dieci comunisti-badogliani saranno fucilati. Quest’ordine è già stato eseguito”.


Trecentotrenta cinque persone (antifascisti anche - ma non solo - italiani. Gli stranieri uccisi alle Fosse Ardeatine sono una dozzina) perdono la vita. I più giovani sono i quindicenni Michele Di Veroli (3 febbraio 1929) e Duilio Cibei (8 gennaio 1929), i diciassettenni Franco Di Consiglio (21 marzo 1927) e Ilario Canacci (12 febbraio 1927). Il più anziano è Mosè Di Consiglio (74 anni). In realtà le vittime di quella tremenda giornata saranno 336. Fedele Rasa (74 anni) viene uccisa mentre raccoglieva erba sul prato di Via delle Sette Chiese, vicino all’Ardeatina. Forse le fu fatale la sordità, e il non aver risposto all’intimazione di un soldato tedesco.

Alle Fosse Ardeatine uccisero Roma

“Alle Ardeatine - scriveva Wladimiro Settimelli - è stata uccisa Roma perché dentro le Fosse venne straziata una parte intera della città con i suoi diversi mestieri, con le diverse condizioni sociali, con i ‘resistenti’ di ogni parte politica e sociale, con gli ebrei, gli uomini giovani e vecchi, i ragazzi. E ancora un prete, generali, ufficiali dei carabinieri e carabinieri semplici, contadini, professionisti, operai, commercianti, soldati e alti ufficiali dell’esercito, della marina e dell’aviazione, uomini della polizia, piccoli artigiani, un cantante lirico, uomini di spettacolo tranvieri, proletari dei quartieri popolari, avvocati, intellettuali, bottegai, qualche nobile. Insomma, la Roma d’ieri, di oggi e di domani. Erano cattolici, comunisti, socialisti, ebrei, appartenenti al Fronte militare di Resistenza, ‘azionisti’, uomini di ‘Bandiera Rossa’, antifascisti, partigiani appena catturati, semplici sospettati di essere avversari del regime. Dunque, il mondo composito di Roma, la Capitale del Paese. Non erano colpevoli di nulla e non avevano certo partecipato all’azione militare di via Rasella perché tutti si trovavano già in carcere al momento dei fatti”.


“Si uccidevano gli ebrei perché erano ebrei - affermava Vittorio Foa - non per quello che pensavano e facevano; si uccidevano gli antifascisti per quello che pensavano e facevano; si uccidevano uomini che non c’entravano per niente solo perché erano dei numeri da completare per eseguire l’ordine”.

Difendete i partigiani perché siete comunisti. I partigiani erano tutti comunisti, ladri, assassini e senza Dio che volevano instaurare un altro totalitarismo

Una delle argomentazioni più gettonate è che tutti i partigiani fossero comunisti o comunque controllati dai comunisti. Certamente il contributo delle Brigate Garibaldi alla Resistenza è stato importante, ma non c’erano solo loro. Secondo le stime degli storici, le Brigate Garibaldi hanno fornito alla Resistenza il 50% dei combattenti. Il 20% veniva però da Giustizia e Libertà (collegate al Partito d’Azione); mentre il restante 30% dalle Formazioni Autonome (di ispirazione militare e monarchica), dalle Matteotti (Partito socialista) e dalle cattoliche.

Il partigiano santo

Fra i partigiani c’è anche un santo: Aldo Gastaldi, nome di battaglia Bisagno. Apolitico e cattolico (“Sono venuto in montagna per combattere il metodo fascista - scriveva - non i fascisti in quanto tali. Combatterò sempre il metodo fascista ovunque lo riconoscerò, che sia fra bianchi, neri, rossi o gialli”), Gastaldi stabilirà per gli uomini della sua Divisione regole molto severe di comportamento - il famoso Codice di Cichero - che i partigiani si impegneranno a rispettare (altro mito “i partigiani erano tutti criminali”).
 

“In attività e nelle operazioni - recita il Codice - si eseguono gli ordini dei comandanti, ci sarà poi sempre un'assemblea per discuterne la condotta; il capo viene eletto dai compagni, è il primo nelle azioni più pericolose, l'ultimo nel ricevere il cibo e il vestiario, gli spetta il turno di guardia più faticoso; alla popolazione contadina si chiede, non si prende, e possibilmente si paga o si ricambia quel che si riceve; non si importunano le donne; non si bestemmia”.


Sopravvissuto alla guerra Bisagno morirà il 21 maggio 1945 cadendo dal tetto della cabina del mezzo su cui stava viaggiando finendone sotto le ruote. La sua morte improvvisa, avvenuta nei giorni convulsi che seguirono la Liberazione, susciterà tesi diverse, mai però storicamente accertate. Quel che è certo è che Aldo Gastaldi diventerà beato (nel mese di giugno del 2019 l’allora arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco autorizzava l’inizio della causa di beatificazione e canonizzazione per il partigiano, medaglia d’oro della Resistenza insignito del titolo di “Primo partigiano d’Italia”).

I partigiani non hanno liberato l’Italia. La guerra di liberazione dai nazisti l'hanno vinta gli Alleati

Certo i partigiani non potevano competere né numericamente né dal punto di vista delle dotazioni belliche contro un esercito regolare come quello nazista (i fascisti non firmeranno la resa di Caserta: nel documento la Repubblica sociale italiana - non riconosciuta dalle forze alleate e pertanto non in grado di stipulare accordi diretti con queste ultime - sarà associata alle forze armate tedesche) ma il contributo dei e delle partigiane non è stato di valore solo simbolico. Lo dimostra il fatto che gli Alleati hanno attivamente sostenuto la Resistenza in vari modi, consci della sua importanza (non a caso, il comandante nazista Kesserling giudicherà una “peste” le formazioni partigiane, ordinando di colpirle senza pietà).

Un grande classico: Bella ciao la cantano solo i comunisti

Basta! Davvero, per piacere. Bella ciao è diventata l’inno ufficiale della Resistenza solo anni dopo la fine della guerra. La canzone dei partigiani era Fischia il vento, troppo legata alle formazioni comuniste per essere assunta nell’Italia della guerra fredda a simbolo della Liberazione (“Fischia il vento - scriveva Franco Fabbri - ha il “difetto” di essere basata su una melodia russa, di contenere espliciti riferimenti socialcomunisti, di essere stata cantata soprattutto dai garibaldini. Bella ciao è - ironia della sorte - più ‘corretta’, politicamente e perfino culturalmente”).

Le origini della canzone - sia del testo che della musica - sono molto incerte (qualcuno la farebbe risalire addirittura al Cinquecento francese o alle antiche melodie yiddish). Per molto tempo una delle ipotesi più diffuse è stata quella di un probabile legame con i canti delle mondine padane, ipotesi evocativa e romantica, sconfessata però dallo studioso Cesare Bermani.

Tutte le incisioni del disco

La sua popolarità arriva negli anni Sessanta. Nel 1963 Yves Montand incide il brano che avrà un successo internazionale. La prima incisione italiana risale allo stesso anno, ad opera di Sandra Mantovani e Fausto Amodei.

Gaber la inciderà nel 1967; De André la inserirà in Carlo Martello e ne La ballata dell’amore cieco; Milva la canterà nella versione delle mondine a Canzonissima nel 1971; persino il ‘reuccio’ Claudio Villa la inciderà nel 1975. L’anno successivo la canzone echeggerà al XIII congresso della Democrazia cristiana (decisamente poco ‘comunista’), congresso di conferma alla guida del Partito del partigiano Benigno Zaccagnini, l’onesto Zac.

E per finire… Il 25 aprile è divisivo

Sì, il 25 aprile divide. Divide la storia d’Italia in un prima e in un dopo.

“Festeggiare il 25 aprile - diceva qualche anno fa il presidente della Repubblica Sergio Mattarella - significa celebrare il ritorno dell’Italia alla libertà e alla democrazia, dopo vent’anni di dittatura, di privazione delle libertà fondamentali, di oppressione e di persecuzioni. Significa ricordare la fine di una guerra ingiusta, tragicamente combattuta a fianco di Hitler. Una guerra scatenata per affermare tirannide, volontà di dominio, superiorità della razza, sterminio sistematico. (…)

A chiamarci a questa celebrazione sono i martiri delle Fosse Ardeatine, di Marzabotto, di Sant’Anna di Stazzema e di tanti altri luoghi del nostro Paese; di Cefalonia, dei partigiani e dei militari caduti in montagna o nelle città, dei deportati nei campi di sterminio, dei soldati di Paesi stranieri lontani che hanno fornito un grande generoso contributo e sono morti in Italia per la libertà. (…)
 

Il 25 aprile del 1945 nasceva, dalle rovine della guerra, una nuova e diversa Italia, che troverà i suoi compimenti il 2 giugno del 1946, con la scelta della Repubblica e il primo gennaio 1948 con la nostra Costituzione. Il 25 aprile vede la luce l’Italia che ripudia la guerra e s’impegna attivamente per la pace.


L’Italia che (…) riprende il suo posto nelle nazioni democratiche e libere. L’Italia che pone i suoi fondamenti nella dignità umana, nel rispetto dei diritti politici e sociali, nell’eguaglianza tra le persone, nella collaborazione fra i popoli, nel ripudio del razzismo e delle discriminazioni. (…)
 

La Resistenza, con la sua complessità, nella sua grande attività e opera, è un fecondo serbatoio di valori morali e civili. Ci insegna che, oggi come allora, c’è bisogno di donne e uomini liberi e fieri che non chinino la testa di fronte a chi, con la violenza, con il terrorismo, con il fanatismo religioso, vorrebbe farci tornare a epoche oscure, imponendoci un destino di asservimento, di terrore e di odio.


A queste minacce - concludeva Mattarella - possiamo rispondere con le parole di Teresio Olivelli (anche lui beato, ndr), partigiano, ucciso a bastonate nel lager di Hersbruck: Lottiamo giorno per giorno perché sappiamo che la libertà non può essere elargita dagli altri. Non vi sono liberatori. Solo uomini che si liberano. Buon 25 Aprile!”.

Buon 25 aprile a tutte e a tutti noi. Un 25 aprile resistente, oggi come non mai.