Ogni docente vive il suo lavoro a modo suo, nel rispetto del ruolo che ricopre. Dipende da molti fattori: il proprio carattere, il luogo in cui opera, la materia che insegna, la classe assegnata in quell’anno scolastico, e altre varianti ancora. Perché nel mondo della scuola, spesso dipinto come cristallizzato e sempre identico a sé stesso, in realtà interagiscono mille componenti diverse, da cui possono scaturire combinazioni non così prevedibili.

Questo e molto altro racconta Domani interrogo, il nuovo romanzo di Gaja Cenciarelli (Marsilio editore, pp. 226, euro 17), storia di una professoressa di letteratura inglese catapultata da una supplenza annuale nella classe di un istituto della periferia romana, con l’esame di maturità all’orizzonte, dopo il quale un altro mondo aprirà nuovi scenari, o chiuderà ferocemente le sue porte.

Docenti e alunni La prof è un tipo empatico, non riesce a non sentirsi coinvolta dalle vite che si agitano dentro le quattro mura dell’aula, né a seguire i consigli di alcuni colleghi quando le dicono “non ti fidare degli studenti, per salvarsi sono disposti a buttare merda su di te. È sempre stato così e sempre lo sarà”. La sua emotività la porta così a dubitare del suo lavoro, delle sue parole e delle sue azioni, che si mescolano alla biografia di Wirginia Woolf e "L’Ulisse" di James Joyce per entrare nel complicato quotidiano di giovani esistenze appena maggiorenni, costrette a deragliare malgrado il desiderio di liberarsi, consapevoli o no, della loro condizione ai margini.

Il dialogo Rivolgendo alcune domande all’autrice, scopriamo che la forma di questo libro nasce inizialmente “come canovaccio lasciato poi decantare, seppur non fosse una prima stesura. Dopo qualche tempo l’ho riscritto daccapo e la scrittura si è sciolta sin dalla prima stesura, arrivando da subito a una struttura ben definita”. Il ruolo dell’insegnante è centrale nella storia, un ruolo oggi cambiato come cambiati sono i modi e tempi in quest’epoca segnata dall’iper tecnologia, che quasi costringe alla connessione perpetua.

“Questa è la difficoltà in più che si trova oggi nel lavorare con questa generazione - ci dice la scrittrice - proprio perché l’attaccamento in ogni senso al proprio telefonino è un ulteriore elemento di distrazione, e il tempo della scuola è ormai frammentario e frammentato. Quindi il ruolo dell’insegnante è divenuto per certi versi più faticoso di quanto non fosse un tempo anche a causa di tutto questo, pur rimanendo lo stesso”. Sembra una contraddizione. “E invece no, perché i ragazzi cercano delle figure di riferimento, dei maestri, che non sono quelli che mettono 10, ma anche quelli che ricorrono alla bocciatura. Cercano qualcuno che dica loro dove dirigersi attraverso l’esempio, che indichi una strada, raccogliendo i frammenti di questo tempo scolastico dandogli un senso: e questo è così da sempre. Che ora sia più complicato però è innegabile”.

Scuola precaria Ci si chiede allora cosa attendersi dal futuro, dall’ennesimo ministro che arriverà e, insieme a lui, probabilmente l’ennesima riforma della scuola. “Innanzi tutto sveltirei, svecchierei questo meccanismo farraginoso, difficile e complicato di assegnazione delle cattedre. Ripenserei concorsi più agili da affrontare, soprattutto per le persone che hanno già maturato molta esperienza. La scuola è stata devastata, e chi ci ha messo le mani dopo non ha saputo rimettere insieme i pezzi, anzi è stato fatto di peggio, in questo non si salva nessuno. Penso all’ultimo il ministro uscente, Patrizio Bianchi: al di là delle sue affermazioni le cattedre restano scoperte, ci sono errori nell’algoritmo, c’è gente che ha perso il posto senza motivo, ed è costretta a fare ricorso. Bisognerebbe cercare di velocizzare le assegnazioni delle cattedre, inserendo i precari che hanno una storia alle spalle e che sanno come si insegna perché sono anni che stanno a scuola, e non è giusto che vengano trattati in maniera diversa”.

Sicurezza in classe Ci sono poi altri temi da affrontare. “Sì, penso alla sicurezza scolastica: abbiamo edifici fatiscenti, e non tutti gli istituti sono informatizzati, una cosa che si è vista bene durante il Covid. E poi urge un adeguamento degli stipendi, visto il costo della vita, e uno snellimento della burocrazia. Tutto questo alla fine toglie spazio alla didattica, in particolare la girandola delle cattedre, in barba alla continuità. I ragazzi appena ti vedono entrare in classe dicono “prof, ma lei resta anche l’anno prossimo?” Mi chiedo, come si fa a non vedere tutto questo?  Come sì fa a non capire che è un aspetto traumatico per ragazzi e genitori? Così non è più scuola, e chi sta dentro la scuola continua a tirare la carretta”.

Leggendo questo libro sarà difficile non affezionarsi alle vicende di Flavio e Francesco, di Alessandra e Sofia, di Daniele, di Margherita, del “Bolivia”. Sarà difficile non legarsi alle loro storie, e alle loro vite, come ha fatto la loro professoressa di letteratura inglese: che per alcuni potrà risultare troppo coinvolta, o inadeguata perché poco “professionale”, mentre ad altri mostra, attraverso una scrittura che riesce a dosare con tremenda efficacia la lingua italiana e il dialetto romano, quel pezzo di scuola che ci manca, o che forse da un po’ di tempo non emerge più come dovrebbe, impegnata com’è a riempire schede, a classificare numeri, a individuare competenze.

Entrare nel cuore degli studenti, per gioire e soffrire insieme, non è mai stato peccato.