Ogni genere musicale ha i suoi punti di riferimento. Massimiliano Collini detto “Max”, 55 anni, ariete, reggiano doc, è il fratello maggiore della scena musicale indierock italiana. Nel 2003, a 36 anni e un poco per caso, inizia la sua carriera artistica. È la voce del collettivo neosensibilista Offlaga Disco Pax e con tre dischi iconici “Socialismo Tascabile”, “Bachelite” e “Gioco di Società” entra nella storia musicale indipendente italiana. Se non conoscete il pezzo Robespierre, recuperatelo subito su youtube. Dopo la scomparsa di Enrico Fontanelli gli Offlaga Disco Pax si sciolgono, ma Max continua la sua attività con diversi progetti come Spartiti dove si esibisce con Jukka Reverberi dei Giardini di Mirò (Reveberi che è anche sindacalista della Cgil Reggio Emilia) e il recente "Hai paura dell'indie?" dove Max recita e approfondisce ironicamente i testi della scena “indie” italiane degli ultimi anni.

Tante anche le collaborazioni, a partire da quella con Lo Stato Sociale al progetto con Massimo Zamboni dei Cccp-Csi  “I Soviet + L’elettricità”, dedicato ai cento anni della Rivoluzione d’Ottobre, e poi è stato ospite più volte a Propaganda Live, intervistato in diversi documentari di impegno sociale e tra questi, anche per capire di più sul personaggio, consigliamo Offlaga Disco Pax: Rockumentary. Unico neo: Collini da anni sta pensando di scrivere un romanzo ma ogni volta rimanda ed è un gran peccato, perché Collini scrive davvero bene. I testi complessi sono da sempre la sua cifra stilistica, soprattutto perché Collini nei testi ci ha sempre messo tanta politica e tanta società, scritta e narrata da un uomo di sinistra adulto.

Max, come è cambiato il rapporto il ruolo tra musica e politica. Tu sei figlio di un periodo in cui la musica “faceva politica” a 360 gradi, cosa è cambiato?

Io credo che l’ultimo gruppo in ordine di apparizione in Italia con grande visibilità pop che ha fatto dei contenuti sociali, etici e di attualità una cifra stilistica sia Lo Stato Sociale. Se ci pensate è la generazione subito dopo gli Offlaga Disco Pax perché il loro primo EP “Welfare pop” è del 2010 e da lì parte la loro crescita proprio mentre di lì a poco, nel 2012, usciva l’ultimo disco degli Offlaga Disco Pax “Gioco di Società”.

L’ultima generazione di cantautori tendenzialmente non ha contenuti politici all’interno delle canzoni perché è una generazione priva di riferimenti ideologici.

Magari su alcuni specifici temi sì, pensiamo ai diritti civili e alla tematica LGBTI, e da questo punto di vista dimostra di essere una generazione molto più aperta rispetto alla precedente. Ma i temi sociali e politici puri sono quasi scomparsi e quando non sono scomparsi sono declinati in modo provocatorio, pensiamo ad esempio alla “trap”. Esiste ancora una scena underground che fa riferimento ai centri sociali e generi musicali specifici, come il reggae o il punk, ma è ormai fuori dai radar del pubblico generalista. Questo perché si è affermata una generazione di artisti egoriferita. Nei fatti è esattamente lo specchio del modello sociale attualmente vincente, in cui la dimensione collettiva è un tema quasi completamente assente.

Intendi la società capitalista?

Ovviamente sì. C’è un argomento dominante che riguarda l’“io” e l’“adesso”, che sono gli unici temi che quasi sempre troviamo nelle canzoni. Tutto è riferito alla dimensione personale rispetto al mondo che ci circonda, la trovo una deriva legata a come è diventata la società e ai suoi schemi unidirezionali. Per correttezza aggiungo alla rosa dei progetti musicali che trattano anche di temi sociali Dario Brunori, I Cani oltre a Lo Stato Sociale. Vale anche per gli Zen Circus, ma sia Brunori che Zen Circus sono artisti adulti, che provengono da esperienze precedenti che con un mondo più consapevole hanno avuto modo di confrontarsi, anche nella vita reale.

Per chi vive in Emilia i tuoi pezzi non sono così lontani dalla realtà. Sarà che per alcune famiglie di sinistra, oggi diremmo progressiste, è sempre stato normale pervadere di politica i figli. Così come ogni sperduto comunello emiliano ha avuto un giorno di visibilità e riscossa popolare e ci tiene molto alle sue piazze e vie intitolate a un leader sovietico o sudamericano.  Tu hai portato l’Emilia rossa e la sua storia alla conoscenza dei giovani soprattutto fuori da essa e a distanza di tanti anni dallo scioglimento degli Offlaga Disco Pax sei una sorta di guida o fratello maggiore per i millenians e generazione Z che ascoltano musica e fanno politica.

Gli Offlaga Disco Pax hanno venduto alcune decine di migliaia di dischi, ci tengo a precisare che sono dischi veri, non liquidi come usa adesso. Credo che nel momento in cui gli Offlaga hanno pubblicato Socialismo Tascabile nel 2005 il mondo era già cambiato ma c’era una memoria molto forte nei fratelli maggiori e nei genitori, anche nelle regioni a gradazione rossa molto limitata. In quei luoghi l’identità era forse ancora più forte: essere comunista negli ‘70 in Emilia era molto più semplice che esserlo in Sicilia o in Veneto, per dire. Riproporre quel tipo di memoria e di riferimenti in un momento in cui pareva stessero scomparendo è stata una operazione spontanea e non pianificata, ma che ha avuto un riscontro ben maggiore rispetto a quello che potevano sperare di raggiungere. 
I testi che ho scritto per gli Offlaga Disco Pax ero convinto che avrebbero parlato solo alla mia generazione, quella dei sopravvissuti alla caduta del muro di Berlino, a chi è nato negli anni ‘60 e ‘70, invece ho scoperto che abbiamo fatto presa molto di più nelle generazioni successive.

In tutta onestà devo dire che la mia, di generazione, ha sfiorato e un po’ snobbato gli Offlaga Disco Pax, mentre i ragazzi e le ragazze venuti dopo, quelli diventati adulti quando il muro di Berlino era già caduto, si sono riconosciuti molto di più. Forse perché raccontavamo di un mondo di cui avevano solo sentito parlare senza averlo vissuto pienamente in prima persona. Resta il fatto che il mito dell’Emilia rossa è più forte altrove che non qui.

- Max inizia a ridere - Noi viviamo il quotidiano di queste terre in prima persona e sappiamo come è andata mentre fuori pensano ancora che venire in Emilia sia come entrare in un paradiso bolscevico, ma sappiamo che non è così. 

Da emiliano di sinistra doc quale sei, qual è la tua percezione sociale sul cambiamento dei corpi intermedi e quindi del sindacato? Se un tempo erano realtà propulsive ora lo sono ancora?

L’atomizzazione della società ha avuto un processo imperioso e questo chiaramente non riguarda solo la musica. Fare associazionismo, volontariato, sindacato e in generale politica dal basso ha un fascino tutto diverso rispetto alla dimensione collettiva che aveva per la mia e tua generazione. Il risultato finale è che i corpi intermedi più grandi, come la Cgil, hanno una base di riferimento più anziana mentre rappresentare il lavoro moderno oggi è difficilissimo proprio per come è organizzata la produzione moderna. Per molti il sindacato è diventato il luogo dove vai a fare la dichiarazione dei redditi e a cercare servizi, non è più un luogo di aggregazione e di esperienza. Probabilmente è inevitabile rispetto al tipo di società che abbiamo ed è inevitabile anche il fatto che i luoghi di lavoro sono cambiati, probabilmente in modo non rimediabile. È certamente più semplice fare sindacato nelle grandi imprese con lavoratori che hanno lo stesso contratto e lavorano per la stessa azienda, dove si è forti come in Emilia non è un caso che in alcune realtà la Fiom fa ancora contratti integrativi importanti, ma l’operaio massa come era inteso nel novecento ormai non c’è quasi più. Soprattutto, purtroppo, è quasi svanita la coscienza di classe. Fuori da questa realtà organizzate, ormai poche, i lavoratori sono soli e l’idea che qualche sopruso alla fine vada ingoiato passivamente è sempre più diffusa e accettata. 

Di musica si vive in Italia? Tu oltre che artista sei un onorato agente immobiliare con una attività e decenni di esperienza.  Come convergono le due anime?

Io ho iniziato la mia piccola carriera nel campo della musica a 38 anni quando è uscito “Socialismo Tascabile”, è ovvio che a quella età avevo già un lavoro, vivevo da solo, avevo già costruito un percorso professionale.  Ho scelto di non abbandonare il mio lavoro da agente immobiliare per – ride – mancanza di coraggio, possiamo dirla così. In alcuni momenti avrei potuto lasciare il mio lavoro principale perché la parte artistica mi stava coinvolgendo tantissimo e mi dava anche entrate continue, per quanto limitate, ma questo è un mondo molto aelatorio. Non avendo supporti economici altrove, oltre al mio lavoro, sarebbe stato molto imprudente a quell’età lasciare una professione avviata per lanciarmi in una carriera artistica senza nessun salvagente. Col senno di poi credo di aver fatto bene a fare questa scelta.

La pandemia ha rivelato al mondo mainstream che in Italia esistono centinaia di miglia di lavoratori della cultura e dello spettacolo che non hanno nessun tipo di garanzia e tutela.

È venuto fuori che esiste un mondo enorme di precariato, sfruttamento, lavoro nero che riguarda un impressionante pezzo di società. Questo non vale solo per la musica e la cultura ma anche per altre categorie di lavoratori. La cosa interessante è che la pandemia ha fatto in modo che questo universo frastagliato ha provato a unirsi per superare lo stato di necessità e ha avuto così tanta visibilità che la politica ha dovuto agire per dare sussidi, tutele previdenziali e sostegni al reddito. Incredibile: unirsi ha funzionato. Chi lo avrebbe mai detto.

Tu ad esempio l’anno scorso hai partecipato alla campagna di Ultimo Concerto per aiutare i live club e gli artisti più colpiti dalla crisi.
Sì, sono state tante le iniziative che hanno permesso di riconoscere le istanze dello spettacolo al mondo della politica che non si era mai neanche lontanamente preoccupato che esistessero. Dovremmo continuare a fare questi eventi di agit-prop in maniera continuativa.

Infatti per molta politica ma diciamo anche molte persone infatti la musica non è un lavoro. Come mai c’è questo luogo comune in Italia?

Musica e cultura non sono ritenute una ricchezza o meglio un asset sociale e economico per il Paese. In realtà musica e cultura valgono punti e punti di Pil. Anche volendo soltanto guardarla da un punto di vista materiale la musica e la cultura riguardano centinaia di migliaia di lavoratori e un pezzo di economia reale del paese.  Mentre il pregiudizio e il luogo comune è rimasto quello che se fai cultura è fondamentalmente un hobby da dopolavoro. È curioso che mentre la musica sta al palo invece l’importanza dello sport professionistico è passata anche a livello culturale: chi fa sport se ci pensate è considerato più seriamente di chi fa musica o chi fa cultura a livello generale. Forse perché si tende a dare meno importanza a quello che è l’intrattenimento, quando in realtà per molti lo sport è da tempo esclusivamente un programma televisivo. Se tuo figlio vuol fare il tennista magari un papa o una mamma pensano: ”Beh magari! Se ha del talento” mentre se vuole fare il chitarrista nella testa del genitore fluttua ricorrente il “Ma che cosa sta facendo questo scapestrato?”

Le elezioni sono alle porte, il 25 settembre saremo chiamati a votare. Max Collini cosa voterà?

Sono un elettore di sinistra da sempre e ovviamente di volta in volta ho ingoiato tanti rospi. A questo giro spero che non siano più grossi di quelli precedenti. Ci tengo a dire che sto seguendo con molta attenzione il percorso di Elly Schlein sia politico che amministrativo. Spero che in futuro possa rappresentare istanze nazionali e non soltanto quelle della mia regione.

Max rivedremo un giorno gli Offlaga Disco Pax sui palchi italiani?

Gli Offlaga Disco Pax si sono sciolti alla morte di Enrico Fontanelli nel 2014, ad oggi non si è mai presa in considerazione l’idea di riformare la band. È un’ipotesi molta complicata, ma il futuro non è mai scritto. 

Ultima domanda: ma il tuo romanzo quando esce? Ma soprattutto di cosa parlerà?

Giuro, prima di tutto a me stesso, che prima o poi ce la farò a scriverlo. Credo parlerà molto anche del lavoro, una cosa che interessa molto chi ci sta leggendo credo, oltre che a me.