Disponibile in libreria già da un paio di mesi, è il segretario generale della Fiom Cgil Torino Edi Lazzi l’autore e curatore di Buongiorno, lei è licenziata. Storie di lavoratrici nella crisi industriale (Edizioni Gruppo Abele, pp. 128, euro 12), un volume che raccoglie le testimonianze di dieci lavoratrici che a Torino e nel suo hinterland hanno subìto la stessa sorte. Le voci sono quelle di Angela, Rossana, Anna, Daniela, Giuseppina, Silvana, Giovanna, Assunta, Tania, Maria Elena, scaricate dalle rispettive aziende per aver chiuso o delocalizzato la propria attività.

Scopriamo così, anzi ci viene ulteriormente confermato, di vivere una realtà dentro la quale, specie nel mondo del lavoro, tutto diventa precario. Prendendo spunto dai dati della Fiom Edi Lazzi, che in veste di responsabile per tutto il gruppo Fiat a Torino gestisce molte delle vertenze maturate nell’ultimo decennio sul territorio, ci racconta come dal 2008 a oggi nel solo settore metalmeccanico torinese sono andati in fumo trentaduemila posti di lavoro, mentre trecentosettanta aziende hanno chiuso definitivamente i battenti.

La maggioranza dei posti perduti è nell’automotive e in tutto il suo indotto, e le ragioni sono molteplici, di quelle che si leggono ogni giorno: crisi economica, delocalizzazioni, assenza di vere politiche industriali. Ma con la frantumazione e la scarsità di lavoro, anche il senso di comunità che nasceva all’interno delle fabbriche e che connetteva i lavoratori e le lavoratrici si è sfilacciato, lasciando dietro di sé persone sempre più sole, povere e frustrate: tutto diventa precario, dunque, anche i rapporti interpersonali, e una crisi economica diviene anche crisi sociale, politica, culturale.

A farne le spese, in misura enormemente maggiore, sono per l’appunto le le donne. Recuperando qualche numero, nel dicembre 2020 l’occupazione femminile è scesa al 48,6%, contro il 67,5% maschile, una vera e propria ecatombe. Da qui l’idea di far parlare dieci donne, in rappresentanza di tutte e tutti, una scelta ben chiarita da Edi Lazzi nella sua introduzione: “Una pubblicazione pensata per le donne e sulle donne. L’altra metà del cielo. La metà più importante, mi viene da dire. Sì, perché le donne sono esseri straordinari. Sono contemporaneamente madri, mogli, figlie, sorelle, confidenti, amiche e lavoratrici. Tutti ruoli che sono in grado di ricoprire simultaneamente caricandosi sulle spalle molte incombenze che gli uomini non vogliono assumersi e che, in alcuni casi, non hanno nemmeno la capacità di affrontare perché più fragili”. Spesso lo dimentichiamo, ma questa  è la verità. Spesso è la fragilità dell’uomo, inteso come “maschio”, a determinare situazioni da risolvere nella concretezza della quotidianità.

Nel libro, accanto a ciascuna delle protagoniste e alla propria storia si mette tra parentesi, ma in evidenza, anche il nome delle rispettive fabbriche e aziende responsabili del licenziamento; e come abbiamo elencato i nomi di ognuna delle dieci donne, così ricordiamo nell’ordine Cebi, Agrati, Savio, Pininfarina, Martor, Sandretto, Indesit, Gessaroli, Olivetti, Ex Embraco. Fabbriche e aziende divenute luoghi-fantasma, inghiottite in quel nulla prodotto dalla crisi economica di questo ventunesimo secolo, il cui prezzo viene pagato in primis dai lavoratori.

Nelle sue riflessioni Edi Lazzi ci indica una linea del tempo che riconduce al biennio 2006-2007, quando a Torino si producevano più di duecentomila automobili, mentre in quello 2019-2020 se ne sono prodotte ventinovemila, vale a dire l’89% in meno. Una crisi irreversibile, per innumerevoli aspetti, ma che chiama in causa soprattutto la capacità di immaginare un nuovo tipo di economia, per delineare  orizzonti entro cui programmare una diversa piattaforma industriale, pensando dapprima a una reale riconversione ecologica, e a una politica attiva del lavoro che contrasti, attraverso il sostegno ineludibile del sindacato, il vulnus della precarietà e la frantumazione dei diritti.

Volendo concludere riportando almeno una tra le voci di queste donne scegliamo le parole di Daniela, emblematiche rispetto quanto abbiamo cercato di scrivere finora: “Lavoravo in Pininfarina con mio marito, abbiamo perso entrambi il lavoro. Mi sono angosciata per lui. Gli uomini, sotto questo punto di vista, sono più deboli delle donne... Il fatto di aver perso il lavoro diventa una colpa, vieni in qualche modo marchiato e se ne trovi un altro, come è successo fortunatamente a me dopo molto cercare, c’è questo continuo rinfacciarti di averlo. Ti viene detto: guarda che ci sei già passata di là, stai attenta a non fare errori. Stai zitta e pedala. È una forma di mobbing continuo, per tenerti continuamente sul filo del rasoio e spremerti sempre di più”.