Operaia in fabbrica, attrice a Hollywood, musa di artisti e fotografi, fotografa di fama internazionale, scrittrice e agitatrice politica, Tina Modotti è stata tante cose, ma una sopra tutte. Una donna libera, coraggiosa, una pioniera, un’anticipatrice. Un’artista inseguita dal suo mito, una donna indipendente, icona di seduzione e trasgressione, divisa fra la fama e la solitudine, l’amore e l’odio. Una donna che non cerca e non trova sconti a una libertà che pagherà a caro prezzo, intersecandosi continuamente con la storia e la politica.

Tina Modotti nasce nel 1896 ad Udine da una modesta famiglia operaia aderente al socialismo. Diventa emigrante all’età di soli due anni, quando la famiglia si trasferisce nella vicina Austria per lavoro.

Tornato per qualche tempo in Italia, il padre decide di ripartire per gli Stati Uniti, presto raggiunto da quasi tutta la famiglia.

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Il ritorno di Tina Modotti

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Il ritorno di Tina Modotti

Tina arriva a San Francisco nel 1913. Il suo esordio da attrice è del 1920, con il film The Tiger's Coat, il primo dei tre film hollywoodiani da lei interpretati. Si tratta di una esperienza deludente, che decide di abbandonare per la natura troppo commerciale di quanto il cinema propone.

Per la sua bellezza ed espressività viene ripresa in diverse occasioni dai fotografi. Tra questi Edward Weston, col quale intesse un legame sentimentale.

Il 9 febbraio 1922 il marito Roubaix del’Abrie Richey (Robo) muore di vaiolo durante un viaggio in Messico. Tina arriva in tempo per i funerali e scopre, in questa triste occasione, un paese che a lungo l’affascinerà. Arriva in Messico in un periodo di tumulti, durante il quale gira con la sua macchina fotografica (aveva appreso elementi di fotografia frequentando lo studio dello zio Pietro Modotti) cercando di cogliere in ogni scatto la dimensione più intima ed emotiva dei soggetti ritratti.

“Già nel marzo 1924 – scriveva Amy Conger – Modotti sceglie per le sue foto soggetti umani, persone sconosciute. Deve aver avuto la sensazione che essi aggiungessero alla composizione qualcosa di particolare e che contribuissero ad ambientarla nel tempo e nello spazio; certo non l’ha imparato da Weston. Weston era incapace di fare il fotografo all’aperto. Nella serie Casas de vecindad ha sviluppato proprio quei negativi che rappresentavano le panoramiche più sintetiche, ed erano anche quelle in cui gli uomini erano meno visibili. Ce lo possiamo immaginare mentre attende che scompaiano dal suo obiettivo –  se non del tutto, abbastanza per assumere la forma che spetta loro, quella di un’ombra scura. Tina al contrario li faceva entrare volentieri nelle sue composizioni. Ciò sembra indicare che in mezzo a persone estranee si sentiva più a suo agio di lui, e forse provava anche un senso di affinità con la gente della strada, che sembra prefigurare il suo futuro legame col Partito comunista”.

Desidero fotografare ciò che vedo – diceva Tina – sinceramente, direttamente, senza trucchi, e penso che possa essere questo il mio contributo a un mondo migliore (…). Sempre, quando le parole ‘arte’ o ‘artistico’ vengono applicate al mio lavoro fotografico, io mi sento in disaccordo. Questo è dovuto sicuramente al cattivo uso e abuso che viene fatto di questi termini. Mi considero una fotografa, niente di più. Se le mie foto si differenziano da ciò che viene fatto di solito in questo campo, è precisamente perché io cerco di produrre non arte, ma oneste fotografie, senza distorsioni o manipolazioni. La maggior parte dei fotografi vanno ancora alla ricerca dell’effetto ‘artistico’, imitando altri mezzi di espressione grafica. Il risultato è un prodotto ibrido che non riesce a dare al loro lavoro le caratteristiche più valide che dovrebbe avere: la qualità fotografica”.

La vicinanza al Partito comunista messicano le consente di stringere amicizie importanti, tra le quali quella con Diego Rivera e Frida Kahlo (nel 1940 ospiterà i festeggiamenti del loro matrimonio). Il 1927 è l’anno della sua iscrizione al Pcm e l’inizio della fase più intensa dell’attivismo politico della sua attività fotografica (nel dicembre del 1929 una sua mostra sarà pubblicizzata come “La prima mostra fotografica rivoluzionaria in Messico”).

Il suo impegno politico la porta a partecipare alle manifestazioni a favore di Sacco e Vanzetti, mentre la denuncia delle violenze del fascismo italiano (“L’Italia di Mussolini è diventata un carcere”, dirà) le attirerà la qualifica di “persona non grata” nel nostro Paese. Esiliata dalla sua patria d’adozione per essersi rifiutata di rinnegare il comunismo, per un certo periodo viaggerà in giro per l’Europa per poi stabilirsi a Mosca, in Unione Sovietica.

“Questa rivoluzionaria italiana – scriverà nel 1974 l’amico Pablo Neruda –, artista straordinaria con la sua macchina fotografica, andò in Urss per fotografare la gente e i monumenti. Ma venne rapita dal ritmo incontenibile del socialismo in pieno fermento e gettò la macchina fotografica nel fiume di Mosca, promettendo di consacrare la propria vita al più umile lavoro del Partito comunista”.

Dall’ottobre del 1935 Tina è in Spagna e allo scoppio della guerra civile spagnola si unisce insieme a Vittorio Vidali (Maria e Comandante Carlos) alle Brigate Internazionali. Robert Capa, David Seymour e Gerda Taro la incitano a tornare a fotografare, ma Tina preferisce il lavoro manuale negli ospedali e nei collegamenti.

Muore, secondo alcuni in circostanze sospette, colpita da un infarto a Città del Messico il 5 gennaio del 1942.

“Tina Modotti – scriverà Pablo Neruda – sorella, tu non dormi, no, non dormi: forse il tuo cuore sente crescere la rosa di ieri, l’ultima rosa di ieri, la nuova rosa. Riposa dolcemente, sorella (…). Nelle vecchie cucine della tua patria, nelle strade polverose, qualcosa si mormora e passa, qualcosa torna alla fiamma del tuo adorato popolo, qualcosa si desta e canta. Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi pronunciano il tuo nome, quelli che da tutte le parti, dall’acqua, dalla terra, col tuo nome altri nomi tacciamo e diciamo. Perché il fuoco non muore”.

Tina Modotti è una donna che non morirà mai, perché è vero: il fuoco non muore.