Si moltiplicano in Italia i maestri di scuola elementare che per fare fronte alle norme sanitarie anti-Covid portano i propri alunni a fare lezione all’aperto, in parchi e cortili. Spesso per spostare la didattica dalle aule agli spazi esterni ci sono difficoltà da superare, che talvolta riguardano ostilità di diversa natura ed è emblematico, a questo proposito, il caso di due maestre di Roma, di una scuola elementare dell’Esquilino, multate perché durante una lezione nel parchetto del quartiere i loro bambini di sei anni si sono seduti sul prato che era invece ‘vietato calpestare’. La polizia municipale non si è limitata a redarguire e fare alzare i piccoli dallo spazio erboso, ma hanno inflitto una sanzione alle maestre. Ciò che però ancor più lascia sgomenti è che probabilmente non hanno avuto scelta, visto che alcuni cittadini li hanno incitati a procedere, lanciando un’invettiva contro le docenti e cercando di documentare con immagini l’infrazione.

Un episodio che per ora si è risolto con il pagamento della sanzione da parte della direzione scolastica e con manifestazioni di solidarietà da parte dei genitori della scuola stessa e non solamente, ma che evidenzia come i cambiamenti in corso sembrino essere più accettabili quando vanno nella direzione della chiusura domestica, anche grazie all’uso della tecnologia, anziché verso l’ampliamento degli spazi dell’apprendimento. Spostare parte della didattica all’aperto ha però più di un senso, anche a prescindere dalla pandemia, come ci spiega Giovanni Castagno, maestro di una scuola del rione romano Garbatella ed educatore sportivo nelle ore extrascolastiche nella suddetta scuola dell’Esquilino (dove insegna a giocare a calcio a femmine e maschi insieme).

Anche lui con l’inizio della scuola ha iniziato a condurre i suoi allievi al parco per svolgere le lezioni: “C’è la necessità di scrollarsi di dosso questo peso culturale che ci stiamo caricando sulle spalle: ci sembra che il virus adesso ci debba tenere rinchiusi, uno lontano dall’altro, mentre all’aperto ci sono condizioni migliori per stare distanziati e comunque più sicuri. Quindi si tratta anche di un’esigenza anche igienico sanitaria che paradossalmente poi si incontra meglio con l’educazione all’aria aperta”.

A questo si aggiunge anche “il discorso su come noi interpretiamo il nostro ruolo – prosegue - che è anche quello di dare segnali, mostrare cortocircuiti che la società accoglie in modo conformista e senza riflessione e di mandare messaggi. Le logiche della cultura didattico trasmissiva sono pervasive e molto spesso hanno isolato le esperienze più virtuose che ci sono state nella scuola italiana”.  Tornando poi nel merito dell’utilità della didattica all’aperto Castagno ci tiene a chiarire che “non si tratta di alternative come scuola in presenza e scuola a distanza, ma di una integrazione di ambienti che può dare frutti virtuosi”.

Il maestro Giovanni, da pedagogo, parla del “coinvolgimento dei corpi nel processo dell’apprendimento, un problema cronico che per i più grandi è irrimediabile, perché frutto dell’impostazione gentiliana, dell’idealismo che ci condiziona e ci dice che si impara solamente usando la testa. Con i bambini però siamo ancora in tempo. E allora portarli all’aperto vuole dire “camminare e parlare mentre si cammina, osservare, avvicinarsi e allontanarsi, coinvolgere tutti gli altri sensi oltre la vista come l’olfatto e l’udito e questo è l’aspetto più affascinante, ma queste cose ti accorgi che le puoi svolgere anche dentro la scuola, non solamente all’aperto, e quindi innescare meccanismi di integrazione tra i sistemi”.