“Mettiamola così: per il momento l’abbiamo sfangata”. A parlare è Luca (nome di fantasia), quarantenne, uno dei più bravi editor italiani. La sua potrebbe essere una sintesi di come la piccola e media editoria ha tenuto testa alla crisi economica scatenata dal coronavirus nei mesi peggiori della pandemia, quelli del lockdown e delle librerie chiuse, e nei mesi immediatamente successivi che portano a oggi. Ma è una sintesi che getta anche una luce di inquietudine sul futuro prossimo, per quanto potrà accadere in autunno e inverno.

Luca non ha un contratto da dipendente, ma collabora con più case editrici nel settore medio e piccolo. Secondo lui “la paura è stata grande a marzo e aprile. Molti editori hanno fatto ricorso alla cig in modo quasi totale, e alcuni continuano a mantenerla. Ma dopo la riapertura ‘vera’ di maggio (non quella finta di aprile), siamo ripartiti e il libro ha tenuto molto meglio rispetto a quanto temevano in molti. Per diversi editori sono state e sono settimane buone. La mia idea - spiega Luca - è che i cosiddetti lettori forti, circa tre milioni di persone, abbiano coinciso anche con le fasce della popolazione più tutelate durante la pandemia. E i lettori forti sono i lettori delle piccole case editrici. Certo, le imprese meno solide sono state penalizzate dalle rese delle librerie durante il lockdown di marzo e aprile, e hanno preso una botta che a fine anno le potrebbe spazzare via”.

Dunque il vero timore riguarda l’autunno: “i problemi - prosegue l’editor - arriveranno dopo l’estate. Perché il sistema alla lunga potrebbe non tenere, e i soldi di quei lettori forti finora tutelati potrebbero finire. Ho paura che accadrà già tra settembre e novembre, periodo nel quale, tra l’altro, tutti gli editori, grandi e piccoli, hanno spostato i loro titoli più importanti e si faranno una concorrenza spietata”. Quanto al lavoro, Luca non ha dubbi: “il nostro era un settore già superprecarizzato e ora lo è ancora di più. Tutti gli editori tendono ad avvalersi di collaborazioni esterne, e aumenterà il ricorso alle partite Iva. Io ad esempio ho tre collaborazioni a partita Iva con tre editori diversi. Quelli bravi, nel mio lavoro, non saranno penalizzati. Possono scegliere. Io stesso rifiuto lavori e consulenze, posso permettermi di dire di no. Ma la mia è un’eccezione. Invece un editor in gamba ma giovane, di 25 anni o giù di lì, avrà molte difficoltà. Molti giovani rischiano di perdere il lavoro”.

Le impressioni di Luca riguardo al presente sono puntualmente confermate dalle stime diffuse il 28 luglio dall'Associazione Italiana Editori (Aie), che rilevano una netta ripresa del mercato editoriale italiano: all’11 luglio - si legge nella ricerca elaborata su dati Nielsen e IE - "la perdita di fatturato anno su anno si riduce al -11%, praticamente dimezzata rispetto al -20% del 18 aprile".  Sono cifre che “mostrano incoraggianti segnali", ha commentato Ricardo Franco Levi, presidente Aie. Qualche altro numero: "il mercato del libro nei canali trade (librerie, store digitali, grande distribuzione) vale, all’11 luglio, 533 milioni di euro, in calo dell’11% rispetto ai 600 milioni dello stesso periodo dell’anno precedente. Al 18 aprile, la perdita cumulata dell’anno era ben più superiore e pari al 20%. Ciò - spiega l'Aie - è dovuto al fatto che, da metà giugno, gli italiani sono tornati a comprare in librerie e grande distribuzione quanto nell’anno precedente, mentre gli acquisti online sono aumentati rispetto al 2019, consentendo così un primo recupero delle quote perse nei mesi precedenti". Dalle stime manca Amazon: se si include il gigante di Bezos, il settore nell'ultimo mese ha il segno più.

Il libro ha perso la battaglia della narratività
Ma torniamo a due ragionamenti di Luca. Primo: i piccoli editori non possono fare a meno dei grandi lettori. Secondo: quella attuale sembra una parentesi positiva tra un prima allucinante e un dopo che potrebbe rivelarsi molto duro. È un’impressione confermata dai dati forniti costantemente dall’Osservatorio dell’Aie (l’Associazione italiana editori): certo, sono migliorati nel corso dei mesi, dalle prime stime catastrofiche a oggi, ma non inducono nessuno all’ottimismo. Le ultime rilevazioni, emerse da un’altra indagine curata dall’Aie assieme al Cepell (Il Centro per il libro e la lettura) e diffusa lo scorso 16 luglio, suscitano inoltre non pochi dubbi sulla ‘forza’ della lettura in questo Paese.

Stando all’indagine curata da Giovanni Peresson, durante il lockdown “si sono letti ancora meno libri di prima” e la lettura di libri “ha ceduto sempre più spazio ad altre attività, dalle videoconferenze ai social network, alla lettura delle notizie”. A maggio del 2020 la percentuale di italiani tra i 15 e i 74 anni che dichiarava di aver letto almeno un libro è del 58%, in calo di 15 punti percentuali rispetto al marzo dell’anno precedente. E “il valore scende al 50% quando si prendono in considerazione solo gli ultimi due mesi, ovvero marzo e aprile del 2020”. (su base annua la percentuale è del 42%). Chi legge, poi, lo ha fatto per meno di un’ora al giorno: è un’attività che in tutte le fasce d’età si colloca in fondo alla classifica degli impegni o degli svaghi, tra l’undicesimo e il sedicesimo posto.

Qualche altro dato fornito da Cepell-Aie: “quasi la metà di chi non ha letto durante il lockdown (il 47%) dichiara che il motivo è stato la mancanza di tempo, il 35% la mancanza di spazi in casa dove concentrarsi, il 33% le preoccupazioni, il 32% ha sostituito i libri con le news. Durante il lockdown è cresciuta la percentuale di lettori (51%) che ha letto i libri già presenti in casa. Si è affidato agli store online il 39% dei lettori, mentre le librerie sono crollate dal 74% al 20%”. E’ cresciuta la lettura di ebook e audiolibri: “i lettori di libri cartacei negli ultimi 12 mesi sono il 53% nel 2020 (69% nell’anno precedente), mentre la lettura digitale è al 31% nel 2020 (26% nel 2019)”.

Ma il dato che davvero preoccupa ci riporta al primo ragionamento di Luca. Secondo l’indagine, infatti, “si è fortemente ridotto il numero di lettori che hanno acquistato libri nei 12 mesi precedenti (sono il 35% nel 2020, erano il 63% nell’anno precedente)”, ossia “il mercato rischia una pesante flessione a causa del comportamento dei forti lettori. Gli acquirenti che si definiscono forti lettori passano infatti da 4,4 milioni a 3,5 milioni, con una flessione del 20%. A maggio 2020, i forti lettori hanno acquistato nei 12 mesi precedenti 30,2 milioni di copie, in calo del 45% rispetto al dato di fine 2019 (51,4 milioni di copie)”.

Secondo Peresson questa flessione è dovuta a molte ragioni, non ultima “il rapporto con le pay tv e con le serie televisive. I lettori sono stati tra coloro che hanno dichiarato di aver seguito maggiormente le serie televisive, quindi quel bisogno di narratività che veniva in precedenza soddisfatto dalla lettura di un libro è stato soddisfatto da altri media”.

Libro di testo versus fotocopie
Andrea
, circa quarant'anni, lavora come redattore presso una media casa editrice specializzata in titoli di saggistica universitaria. Ha un contratto di lavoro stabile, da dipendente. E un punto di vista meno negativo. La sua esperienza è che “poteva andare peggio”. “A marzo e aprile - spiega a Collettiva - ci siamo accorti che, visto che la didattica universitaria proseguiva seppure a distanza, e le copisterie erano chiuse e le biblioteche a mezzo servizio, gli studenti hanno comprato i nostri libri originali. Insomma si è ridotta la pratica delle fotocopie. I dati mensili di fatturato non solo hanno tenuto, ma hanno raccolto segni positivi. I volumi andati meglio sono quelli che hanno importanti adozioni universitarie. Siamo i primi a essere stupiti. Tutti sapevamo che le fotocopie (e i pdf piratati) minano i nostri libri, ma non pensavamo così tanto. Il 2020 è stato addirittura migliore del 2019”.

Al momento la casa editrice di Andrea non sembra avere difficoltà economiche, anche se sono stati bloccati i lanci delle novità. In questi mesi nessun dipendente è stato collocato in cig “nemmeno per mezzo minuto”, ma tutti hanno lavorato in smart working a tempo pieno, “ognuno con i mezzi propri”. Quanto alle prospettive, la posizione di Andrea è da calciatore in barriera quando la punizione la tira Cristiano Ronaldo: “la botta - ammette - la subiremo in autunno, quando molte famiglie potrebbero andare in crisi. In quella situazione la prima spesa che tagli è il libro di saggistica o universitario. Insomma io l’ansia per il lavoro ce l’ho sempre. Anche se in casa editrice non abbiamo precari. Se le cose si mettessero male, dovremmo eventualmente aprire un processo che passerà per la lotta sindacale”.

Ma la preoccupazione di Andrea “è più legata ai motivi specifici per cui un editore come il nostro potrebbe non durare. Se la pratica della didattica universitaria a distanza prosegue - spiega -, allora l’oggetto libro diventerà solo uno degli strumenti a disposizione. Una casa editrice come la nostra dovrebbe attrezzarsi per cambiare l’erogazione dei suoi prodotti, e questo non credo che sia stato ancora oggetto di concreta riflessione”.

Il quadro generale e i piccoli editori
Ricordiamo (fonte Istat) che in Italia operano circa duemila imprese editoriali che occupano diecimila addetti. Le tendenze degli ultimi anni, a prescindere dal coronavirus, sono due: concentrazioni e calo dei piccoli e medi. Questo era evidente già nel 2017, anno nel quale l’Istat, rispetto al 2016, registrò un calo del 3% di editori (-46) che riguardava, però, esclusivamente i piccoli e medi, diminuiti del 5%, mentre i grandi gruppi erano aumentati dell’8% (16 unità in più). L’istituto trovava in questi dati conferma a una tendenza di lungo periodo: dal 1997 al 2017 i piccoli editori erano crollati dal 67,5% al 54%.

E adesso? Si tratta di proteggere il comparto prima della tempesta, è chiaro a tutti. Se le librerie hanno riaperto, un’altra fonte di introito determinante non l’ha fatto: fiere e festival letterari. Non aiuta la notizia che Più libri più liberi 2020, la più importante manifestazione della piccola e media editoria italiana, non si terrà. Sarà rimpiazzata da una Festa del libro promossa da Roma Capitale, Regione Lazio e Cepell in calendario a Roma dal primo al 4 ottobre.

Una risposta significativa è, infine, arrivata dal governo lo scorso 30 luglio, con lo stanziamento di 10 milioni di euro per la piccola editoria. Si tratta del decreto firmato dal ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini, che utilizza le risorse del Fondo emergenze imprese e istituzioni culturali istituito dal decreto rilancio.  Le nuove risorse, si legge nel comunicato del ministero, "verranno ripartite tra i beneficiari nella misura pari all'1% del fatturato dell'anno 2019, e comunque, in misura non superiore a 20 mila euro per ciascun beneficiario". Qui le istruzioni da seguire per presentare domanda. ''Il sostegno diretto ai piccoli editori è fondamentale per preservare la ricchezza e la diversità dell'offerta culturale: ringraziamo il governo e il Parlamento per essersi mostrati sensibili ai nostri appelli'': questo il commento di Ricardo Franco Levi. Ed è stata positiva anche la reazione di Marco Zapparoli, presidente di Adei - l'Associazione degli editori indipendenti italiani, che rappresentano il 46,5% del mercato librario: "Siamo molto lieti che finalmente si proponga un provvedimento che riguarda l'editoria libraria, in particolare l'editoria indipendente, che da sempre contribuisce in modo decisivo alla ricerca culturale, a vantaggio di tutti". Lo dice Marco Zapparoli, presidente di Adei - l'Associazione degli editori indipendenti italiani, che rappresentano il 46,5% del mercato librario. "Dopo lo stanziamento di 30 milioni per acquisti da parte delle biblioteche e i provvedimenti riservati ai librai, questo provvedimento - sottolinea Zapparoli - riguarda finalmente in via diretta le case editrici". Ma, aggiunge il presidente di Adei, "ci pare tuttavia molto limitativo porre quale condizione di accesso ai contributi una soglia minima di produzione di 10 titoli nel 2019. Questa soglia penalizza la maggior parte delle piccole e piccolissime case editrici italiane. Adei rappresenta quasi 250 editori, ma molti soci non raggiungono la soglia di 10 novita' l'anno". E conclude: "Siamo ancora in tempo a correggere il tiro: secondo noi, sarebbe piu' corretto abbassare questa soglia almeno a 5 titoli l'anno".

(N.B.: Questo articolo, completato e revisionato il 1 agosto 2020, non è aggiornato su eventuali modifiche approvate  successivamente).

Mammiferi e dinosauri
Chi opera in questo settore è abituato a combattere, o meglio: conosce bene l’arte della sopravvivenza. Stiamo scattando una foto di gruppo a persone che offrono a questo Paese, col loro lavoro e la loro passione, alcune tra le migliori risorse intellettuali che si possano immaginare. Proviamo quindi a chiudere con una nota che si allontana lievemente dallo spartito e produce un suono diverso. Martina Testa, importante traduttrice e editor di Sur, spiega a Collettiva che “le mille, duemila persone che comprano uno dei nostri titoli resteranno. Certo, non diventeranno mai diecimila persone. E noi non diventeremo mai Feltrinelli. Ma se le cose le fai bene resisti”. Secondo Testa “andranno peggio certi prodotti di bassa qualità che escono per i grandi gruppi editoriali. Noi minuscoli terremo duro. La mia paura e l'ansia sono le stesse degli ultimi dieci anni, il coronavirus non le ha aumentate né diminuite: ho rinunciato all’idea che l’editoria potesse cambiare il mondo. Sono stati anni dolorosi, ma non sarà questa stagione a distruggere la piccola editoria di ricerca. Insomma sono serena, a valle di una totale disillusione sulla possibilità di crescita per le piccole e medie case editrici. Continueremo a campare - quella trentina o meno di editori di qualità - perché siamo bravi. Sono più preoccupata per i big, che hanno costi di gestione più elevati”, conclude Testa.

Anni fa Barbara Epler, responsabile di una ‘piccola grande’ casa editrice americana, New Directions, formulò una teoria interessante: “i grandi editori sono come i dinosauri e i piccoli editori come i mammiferi. Anche se facciamo meno impressione, potremmo essere noi quelli che sopravvivranno”.

Naturalmente c'è da sperare che il meteorite Covid non porti nessuno a estinguersi, quali che siano le sue dimensioni.