L’esule Silvio Trentin, con la moglie Beppa e i figli Giorgio e Bruno (Franca rimane in Francia), rientra in Italia dopo la caduta di Mussolini pochi giorni prima dell’8 settembre. Un viaggio verso l’Italia, visto inizialmente come qualcosa di provvisorio, che cambierà per sempre la vita di Bruno e il suo rapporto con il padre: “Da quel momento lì fino alla sua morte - afferma Trentin - io ho ritrovato mio padre da tutti i punti di vista, cioè si è costruito quel rapporto che era in parte mancato nella prima adolescenza, un rapporto straordinario (…) Dal punto di vista personale, questo è stato il periodo più bello della mia vita”. “Voglio soltanto testimoniare - dirà molti anni dopo - che quel poco di valido e di utile che ho saputo produrre nel corso della mia lunga vita, lo debbo interamente al suo insegnamento e al suo esempio; alla sua radicale incapacità di separare l’etica della politica dalla propria morale quotidiana, pagando sempre di persona i propri convincimenti”.

Silvio e Bruno vengono arrestati e imprigionati a Padova a metà novembre 1943, poi liberati ma sotto sorveglianza. In carcere Silvio è colpito da un nuovo attacco di cuore: viene ricoverato prima a Treviso poi a Monastier dove muore nel marzo 1944, dopo aver dettato a Bruno nel mese di gennaio un abbozzo di un piano tendente a delineare la figura costituzionale dell’Italia al termine della rivoluzione federalista in corso di sviluppo e redatto un ultimo appello ai lavoratori delle Venezie. Bruno, che non ha ancora diciotto anni alla morte del padre, si dedica anima e corpo alla guerra partigiana con lo pseudonimo Leoneprima nella marca trevigiana soprattutto nelle Prealpi sopra Conegliano, poi, dopo il rastrellamento tedesco dell’estate 1944 a Milano, agli ordini del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia e di Leo Valiani, a cui il padre lo aveva affidato prima di morire.

Scrive, giovanissimo, alla prima pagina del suo diario: “L’8 mio padre era a casa dei suoceri, mio fratello a casa di amici. Io passeggiavo per caso sulla piazza principale di Treviso (Veneto). Si era radunata una folla confusa e incerta. Corrono delle voci: la Pace... la Pace!... Voci, ma nessuno ne sa niente. Tutto a un tratto, un uomo compare a un balcone e urla: ‘Italiani! Una grande notizia... Armistizio!... La guerra del fascismo è finita!... Vendetta contro quelli che vi ci hanno trascinato!’. La gente grida di gioia, i soldati si abbracciano, si corre per le strade, si canta. Io, tremante, tesissimo, mi precipito attraverso il dedalo delle viuzze sporche della città bassa (…) Irrompo nella stanza in cui mio padre sta discutendo con alcuni amici; grido: ‘Badoglio ha firmato l’armistizio!’. Mio padre si alza in piedi, grave, senza inutili esplosioni di gioia; si guardano tutti tra loro... È la guerra che comincia!... La guerra vera per l’Italia vera. Da quel giorno, le nostre volontà: quella di mio padre, di mio fratello e la mia, si sono sforzate di farla, questa guerra, con ogni mezzo”. Inizia, anche per la famiglia Trentin, la Resistenza: “I tedeschi si avvicinano a Treviso (…) Di fronte all’impossibilità di organizzare in città una resistenza armata, partiamo a nostra volta per nasconderci in campagna. Comincia in Italia una nuova vita: la vita clandestina”.

“(…) Bruno è un gappista determinato, dal sangue freddo eccezionale. I compagni di lotta ne ricordano il carisma: ti inchiodava con lo sguardo. Più giovane di tutti loro, impartisce ordini, risolve problemi, corre da un posto all’altro ‘con la furia di un ragazzo che aveva solo voglia di divorare, di divorare conoscenze, luoghi, persone’.” (Luisa Bellina, 2012) . Emilio Lussu, in una lettera dell’11 maggio 1945 alla sorella Franca Trentin, lo definisce come “uno dei più audaci capi dell’insurrezione di Milano. (...) È stato semplicemente magnifico e ha rischiato mille volte: gli hanno sparato addosso in tante occasioni e si è sempre salvato. Egli ha in modo luminoso tenuto alto il nome dei Trentin”. E in un’altra del 6 giugno: “Capo delle squadre giovanili all’insurrezione di Milano, comandava oltre 2 mila uomini. Ora fa dei comizi nelle fabbriche con successi strepitosi! Se l’è cavata per miracolo. In una spedizione, sullo stesso camion sono morti otto suoi giovani compagni presi di mira dai fascisti che vi lanciavano bombe. Si è salvato solo lui e lo chauffeur. Ha avuto anche altre avventure del genere. Insomma, è in vita. Ed è ben orgoglioso di portare il nome di Trentin” (dall’archivio personale di Franca Trentin).

Bruno non si limita a svolgere azioni militari, ma partecipa attivamente alla preparazione politica della Liberazione. Redige insieme a Vittorio Foa il proclama per l’insurrezione di Milano e prende la parola in piazza Duomo il 28 aprile 1945 a nome dei giovani combattenti del Partito d’Azione, subito dopo Luigi Longo, Sandro Pertini e Cino Moscatelli.  Per la sua partecipazione alla Resistenza gli verrà assegnata la croce al valor militare con la seguente motivazione: “Partigiano combattente - brigate G.L. - Partecipava con grande slancio alla lotta partigiana. Benché giovanissimo, dimostrava ottime capacità nell’organizzare alcune formazioni, alla testa delle quali compiva numerose azioni e concorreva efficacemente ai vittoriosi combattimenti delle giornate insurrezionali - Treviso - Milano settembre 1943 -  aprile 1945”.

Scriveva profeticamente poco prima di essere arrestato nel novembre 1943: “L’Italia finalmente si risveglia! Su tutta la superficie della penisola occupata dagli invasori tedeschi e dai loro degni sicari fascisti, il popolo italiano, quello del 1848, quello di Garibaldi e di Manin è in piedi e lotta (...) A partire da ora, i criminali di Matteotti, gli assassini di Amendola, di Rosselli e di tutte le migliaia di eroi che non hanno voluto piegarsi alla loro ignobile tirannia, cominciano a pagare il pesante tributo dei loro crimini (…) La guerra è aperta, oramai. Sorda, segreta, ma terribile. È lo spirito dei rivoluzionari che si facevano ammazzare nelle barricate ad animare oramai il popolo del Risorgimento. Dopo aver dormito vent’anni, questo popolo martire fa sentire all’immondo aguzzino in camicia nera tutte le terribili conseguenze del suo risveglio. È in piedi oramai. Lo si era creduto morto, servitore, vile e codardo, e invece è là!”. E invece è là, anche oggi, soprattutto oggi.