In questi mesi La Via Maestra non si è fermata. Dopo la grande manifestazione del 7 ottobre a Roma e in vista della mobilitazione di sabato 25 maggio a Napoli, le più di cento associazioni promotrici dell’iniziativa hanno proseguito i percorsi di riflessione e discussione sui temi che hanno dato vita a questa esperienza e che sono alla base dell’appello: dal contrasto alle riforme istituzionali, come autonomia differenziata e premierato, che approfondiscono le disuguaglianze e mortificano la partecipazione democratica, al lavoro, dal welfare all’istruzione, dalla sanità pubblica all’ambiente.

Ambito, quest’ultimo, che ha bisogno di particolare attenzione perché a poco meno di un mese dalle elezioni europee si registrano arretramenti su alcuni pilastri del Green Deal: la legge sul ripristino della natura è stata bloccata dal Consiglio, la proposta di regolamento per ridurre l’uso dei pesticidi è stata ritirata, mentre diversi governi si oppongono alla direttiva sulla qualità dell’aria. E anche la reintroduzione di vincoli di bilancio stringenti della “governance europea” renderanno sempre più difficile realizzare quegli investimenti necessari per guidare una giusta transizione ecologica.

L’Italia vota contro il green

“È di ieri il via libera del Consiglio Ue al nuovo regolamento europeo sugli standard per le emissioni di CO2 dei veicoli pesanti, che modifica e rafforza le norme esistenti, al quale l’Italia ha votato contro – fa notare Simona Fabiani, responsabile Cgil politiche per il clima, il territorio, l’ambiente e la giusta transizione -. Questo, che è solo l’ultimo voto contrario in ordine di tempo del nostro Paese alle disposizioni di riduzione, è lo specchio di quello che viene fatto e deciso qui. Abbiamo un governo negazionista che vuole trasformare l’Italia in un hub del gas e che ha bloccato tutti gli investimenti per la riconversione ecologica. Il Pniec, piano nazionale integrato per l’energia e il clima, non rispetta molti dei target europei, compie scelte di politica energetica incentrate per lo più sull’incremento delle fonti fossili, non sviluppa politiche industriali e per la giusta transizione”.

Europa a marce ridotte

Anche in ambito europeo si preme sull’acceleratore dello smantellamento del Green Deal, un processo che è iniziato formalmente nel 2022 con l’inserimento nella tassonomia verde, e cioè nella lista delle produzioni compatibili con la sostenibilità nella fase di transizione all'energia pulita, del nucleare e del gas. Negli ultimi mesi e anche nelle ultime settimane, con l’avvicinarsi delle elezioni, c’è stata un’inversione di rotta su tutta una serie di disposizioni, con direttive ammorbidite o sulle quali si è addirittura tornati indietro.

Transizione giusta e veloce

E in Italia? “In Italia stiamo frenando sulle politiche verdi anziché accelerare, cosa che va contro i nostri stessi interessi – afferma Maria Grazia Midulla, coordinatrice del focus group lavoro, ambiente, giusta transizione della Via Maestra -. Se noi rallentiamo gli altri non ci aspettano, anzi. Giusta transizione non vuol dire transizione lenta ma veloce. Dobbiamo stringere i tempi per poter intercettare i benefici, altrimenti rischiamo dei veri contraccolpi, soprattutto nel campo dell’occupazione. Nel settore auto, per esempio, negli ultimi anni la trasformazione verso l’elettrico ha subito uno stop, tuttora in atto. Peccato che il mondo stia andando invece in quella direzione”.

Il primo prototipo di auto elettrica fu messo a punto dalla Fiat, azienda che avrebbe potuto essere all’avanguardia ma che invece un po’ per scelta e un po’ spinta da un sistema industriale che puntava sulle fossili, favorì i veicoli a metano. Fino a far diventare l’Italia il Paese con la più alta percentuale di vetture a gas.

La filiera della mobilità elettrica

“Ecco, questo è l’esempio perfetto di come il legame e la dipendenza dalle fossili non ha portato ad alcun volano di competitività per il nostro Paese, né economico e né ambientale”, aggiunge Midulla. La mobilità, in particolare quella collettiva, è uno dei temi al centro della discussione della Via Maestra perché mentre si ipotizza uno spostamento del 10 per cento del trasporto da individuale a collettivo, non si mette neppure una risorsa affinché questo passaggio avvenga.

“Se si creerà tanta nuova occupazione, maggiore di quella che si perderà, in questo caso bisognerà puntare alla realizzazione di una filiera italiana degli autobus elettrici – aggiunge Fabiani -. Altrimenti saremo costretti a importare le tecnologie dall’estero e i posti di lavoro saranno altrove e non da noi. Quindi se non ci accelera, avremo solo le ricadute negative della transizione sullo sviluppo e l’occupazione”.

Tecnologie a zero emissioni, non per la guerra

Stesso discorso si può fare per la riqualificazione degli edifici, delle aree degradate e delle periferie anche attraverso la direttiva europea Case green, sulla quale in un primo momento il governo ha preso le distanze, fino ad arrivare al paradosso che, mentre in Europa di prevede di riconvertire gli edifici non a norma, da noi sono in discussione nuovi condoni edilizi.

“Tutto quello che ora si sta facendo in vista delle elezioni europee di giugno è spingere di più sugli armamenti, sull’industria, la produzione e il consumo delle armi anziché dare un sostegno alle politiche di riconversione – conclude la dirigente Cgil -. Gli investimenti comuni europei dovrebbero portare avanti uno sviluppo industriale delle tecnologie a zero emissioni, non degli armamenti e della guerra”.