Il riscaldamento globale potrebbe aumentare di 3 gradi C entro la fine del secolo, mentre le malattie legate all’inquinamento uccidono nove milioni di persone ogni anno. Ad affermarlo non sono i soliti catastrofisti o gli incalliti ambientalisti, ma il nuovo rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (Unep) “Making peace with nature”, basato su una serie di valutazioni globali. Il report delinea la gravità delle tre emergenze ambientali che sta vivendo la Terra: cambiamenti climatici, perdita di biodiversità e inquinamento, crisi planetarie che mettono a rischio il benessere delle generazioni future e attuali. E conferma quanto sostenuto in un altro recente rapporto pubblicato dall’Unfccc, che misura lo stato di avanzamento dei piani di azione nazionali per il clima: se si vuole raggiungere l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di limitare l’aumento della temperatura globale di 2 gradi C, idealmente 1,5 gradi, entro la fine del secolo, le nazioni nel 2021 devono raddoppiare gli sforzi e presentare programmi più forti e ambiziosi.

“Gli studi ci dicono che le emissioni di gas serra complessive stimate continueranno a crescere fino al 2025 e inizieranno a diminuire in modo irrisorio al 2030 – spiega Simona Fabiani, responsabile ambiente e territorio Cgil -. Nel dettaglio, nel 2030 ci sarà una riduzione dello 0,5 per cento rispetto al 2010 mentre per quella data le emissioni nette globali di anidride carbonica e degli altri gas a effetto serra devono diminuire di circa il 45 per cento, per raggiungere lo zero entro il 2050. Questo per riuscire a contenere l’aumento della temperatura a 1,5 gradi. È quindi evidente che siamo completamente fuori rotta rispetto a quanto sarebbe necessario, e dimostra che gli Stati devono con urgenza rafforzare i loro impegni ai sensi dell'accordo di Parigi e agire”.

L’Europa ha incrementato le sue ambizioni, elevando dal 40 al 55 per cento il taglio delle emissioni inquinanti entro il 2030, e fissando il raggiungimento della neutralità climatica per il nostro continente al 2050. “Ma complessivamente ancora non basta – ribadisce Fabiani -. Da più parti si dice e si ripete che questa è una priorità, che il Recovery Plan è un’occasione irripetibile, ma con le risorse impiegate fino a oggi non è stato fatto niente in questa direzione. Le indicazioni dell’Europa sono chiare: il 37 per cento degli investimenti devono essere spesi per clima. Non basta. Nessuna delle risorse utilizzate deve arrecare danno agli obiettivi ambientali, che sono sei tra cui la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico. E al momento questa svolta in Italia ancora non si è vista, almeno non nella versione che conosciamo del Piano nazionale di ripresa e resilienza”.

Eppure l’Italia svolge su questo fronte un ruolo cruciale, quest’anno ha una fitta agenda di impegni internazionali e dovrebbe dare l’esempio. Dal dicembre scorso abbiamo assunto la presidenza del G20, a luglio si svolgerà a Napoli il vertice ministeriale su ambiente, clima ed energia, a ottobre a Roma ci sarà il vertice dei leader del G20. A novembre si terrà a Glasgow la 26esima Conferenza delle parti sul clima sotto la presidenza del Regno Unito con la co-presidenza dell’Italia. In preparazione della Cop26, si svolgeranno a Milano due eventi: il Youth4climate e la pre-Cop.

“Le scelte che saranno fatte nel Pnrr e per l’uso dei Fondi europei 2021-2027 saranno strategiche per il futuro del nostro Paese – conclude Simona Fabiani -, così come la funzione dell’Italia potrebbe essere strategica per gli impegni di azione globale per il clima, prima in sede di G20 e poi a livello globale nella Cop26. Crediamo che il ruolo del sindacato e della società civile debba essere determinante nella programmazione del radicale cambiamento di sistema, per la giustizia climatica, la tutela degli ecosistemi e della salute e per una giusta transizione”.