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Il congresso americano resta spaccato: la Camera a maggioranza repubblicana, il Senato democratica, lasciando intravedere altri anni difficili e di lotte per l'approvazione di ogni misura a partire dal cosiddetto 'fiscal cliff', ovvero il nodo tasse-spesa, la vera prima sfida del presidente rieletto, Barack Obama.
È un fatto che negli ultimi anni l'intransigenza del partito repubblicano ha spesso bloccato o rallentato l'attività legislativa. Ostaggio dell'ala estremista dei Tea Party, il Grand Old Party, soprattutto al Senato, ha optato infatti per l'ostruzionismo più sfrenato su ogni provvedimento.
Secondo il regolamento della Camera Alta servono infatti almeno 60 voti, cioè 10 in più della maggioranza semplice, per portare un progetto di legge al voto dell'Aula, al 'floor'.
Così i repubblicani hanno avuto gioco facile per bloccare tantissime proposte di Obama: dalla riforma dell'immigrazione alla lotta alle emissioni, fino al taglio delle tasse per i più ricchi. Ma sono anche riusciti a bloccare tante nomine del presidente, anche quelle meno rilevanti.
Sempre il regolamento prevede che il veto anche di un solo senatore fa slittare tutto. Non a caso, secondo tutti i sondaggi, la popolarità del Congresso tra i cittadini americani è ai minimi storici, tra quella di Fidel Castro e quella del regime nordcoreano.