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Messaoudi Naceur era un bracciante tunisino di 57 anni. Il 19 luglio 2023, mentre lavorava, in nero e a cottimo, nella raccolta di cocomeri, nelle campagne di Montalto di Castro, provincia di Viterbo, accusò un malore per un colpo di calore. Abbandonato di fronte all’ingresso dell’ospedale di Tarquinia morì dopo ore di agonia. Due anni dopo la Cgil Civitavecchia Roma nord Viterbo e il patronato Inca di Viterbo sono riusciti a ottenere “un risultato straordinario: un riconoscimento economico per la famiglia che garantirà alla vedova e alle due figlie della vittima la tutela prevista dall’Inail nei casi di decesso e consentirà loro di avere un futuro dignitoso”, ci ha detto la segretaria generale della Cgil Stefania Pomante.
Pomante, Cgil del territorio: “Messaoudi Naceur non è morto casualmente, è morto di schiavitù”
Un risultato frutto del lavoro sinergico tra chi, nel patronato Inca di Viterbo, si occupa di immigrazione e di danni da lavoro, la categoria coinvolta, la Flai, la Cgil e il medico legale che, ognuno con le proprie competenze, sono riusciti, dopo due anni di impegno, a ottenere il giusto risarcimento per la famiglia e a rendere giustizia al bracciante. “L’uomo ha pagato con la vita il peso delle pessime condizioni in cui versano i lavoratori agricoli, in modo particolare chi viene sfruttato in nero nel nostro Paese, privo di tutele, in mano a datori di lavoro senza scrupoli e umanità. Messaoudi Naceur – ha detto la segretaria – non è morto casualmente, è morto di schiavitù, a 57 anni, perché nei campi si muore di fatica, di sfruttamento ma anche di indifferenza e di mancanza di controlli”.
Palazzoli, Inca nazionale: “essenziale denunciare anche se la vittima lavora in nero. C’è comunque copertura Inail”
“Il lavoratore risiedeva regolarmente in Italia con un permesso di soggiorno per lungo soggiornante – ci ha spiegato Sara Palazzoli del collegio di presidenza dell’Inca nazionale –. Eppure lavorava in nero e a cottimo. Due sono gli elementi importanti del risultato raggiunto: essere riusciti a dimostrare il nesso causale tra il colpo di calore e la morte. Ed essere arrivati fino in fondo nonostante fosse un lavoro in nero. Decisivo è stato anche il coraggio degli altri lavoratori che, seppure, in alcuni casi, stranieri irregolarmente presenti in Italia, quando lo hanno visto crollare nei campi sono andati subito, insieme a un cugino della vittima, a denunciare il fatto alla sede dell’Inca a Tarquinia. È fondamentale denunciare l’infortunio anche se la vittima è un lavoratore in nero, perché la tutela Inail lo copre comunque. Ed è importante – tanto più ora che ci avviciniamo alla stagione calda – ricordarsi che il colpo di calore è un infortunio e merita il giusto riconoscimento. Mettere insieme tutti gli elementi di un infortunio per poter ricostruire la dinamica e soprattutto intercettare le testimonianze, nonostante le paure di chi, soprattutto se straniero e irregolare, teme per la sua stessa condizione, è essenziale. Ed è essenziale farlo con tempestività. Con il risarcimento non restituiremo il marito e il padre, ma almeno ristabiliamo un principio di giustizia di fronte a una tragedia come questa”.
Di Cola, Cgil Roma Lazio: “Morto raccogliendo cocomeri per un centesimo al chilo”
“Il nome di Messaoudi Naceur a molti non dirà nulla. È un bracciante che il 19 luglio 2023 morì di schiavitù nelle campagne di Montalto di Castro. Perse la vita mentre raccoglieva cocomeri per un centesimo al chilo, sotto il sole, in pieno bollino rosso. Ci volle più di una settimana affinché la sua storia fosse resa nota. Messaoudi non aveva un contratto di lavoro e il padrone lo abbandonò in ospedale affermando di averlo incontrato per caso. Grazie alla denuncia della Cgil e la Flai di Civitavecchia Roma Nord Viterbo emerse che si trattò di un fatto avvenuto durante l’attività lavorativa”. Così, in una nota, il segretario generale della Cgil di Roma e del Lazio Natale Di Cola.
“Quelle settimane furono difficili – continua Di Cola –. Dovemmo rompere un’assordante silenzio su quella morte e con coraggio la Cgil e la Flai costruirono uno sciopero unitario. Ieri, finalmente, si è conquistato un pezzo di giustizia. La moglie e i figli del bracciante hanno ottenuto l’indennizzo economico da parte dell’Inail. In questi due anni siamo stati al fianco della famiglia, a fari spenti come sempre, e con la Cgil di Civitavecchia Roma Nord Viterbo e il patronato Inca Viterbo abbiamo lavorato affinché fosse riconosciuto il risarcimento che, per quanto non possa compensare la perdita di una vita umana, consentirà alla famiglia del lavoratore di vivere dignitosamente. Noi non ci fermiamo. Continuiamo a mobilitarci per sconfiggere un sistema di fare impresa che sfrutta e uccide e per rimettere al centro i diritti e la dignità delle persone”, conclude.