Il vertice dei capi di stato e di governo dell'Unione europea, che si riunisce oggi (venerdì 17 novembre) nella città svedese di Göteborg, procederà alla proclamazione del Pilastro europeo dei diritti sociali. Si tratta di un avvenimento significativo perché ha il merito - in un quadro ancora segnato dal prevalere della cultura liberista in economia, dalle scelte orientate verso l'austerità e il rigore, dalla compressione dei salari - di riportare la questione della dimensione sociale dell'Europa al centro della discussione pubblica, dopo vent'anni di silenzio e di oblio. Un risultato che è stato possibile soprattutto grazie all'insistenza e al lavoro della Confederazione europea dei sindacati e di quelle confederazioni nazionali, tra cui la Cgil, che non hanno mai smesso di battersi per la costruzione europea, in un quadro certo segnato da luci e ombre, nonché dalla difficoltà oggettiva a produrre risultati significativi.

Nel caso specifico, il Pilastro europeo dei diritti sociali si configura come un documento di impegni che, pur non avendo ancora carattere vincolante, indica agli Stati membri dell'Unione alcuni obiettivi di tutela e protezione dei cittadini da raggiungere e assicurare in tutta Europa: il diritto a congedi parentali adeguati, un maggiore equilibrio nella conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, il rilancio della youth guarantee e in generale delle politiche per l'occupazione giovanile, un impegno per superare il divario salariale tra uomini e donne, il riconoscimento del valore del lavoro di cura.

Come è evidente, si tratta di obiettivi indubbiamente condivisibili. Tuttavia, se guardiamo alla condizione concreta del lavoro in Europa, alla gravità della questione salariale, alla progressiva rarefazione della forza propulsiva della contrattazione collettiva, è altrettanto evidente che gli impegni dichiarati sono di portata limitata e non sufficiente a garantire da soli l'inversione di tendenza sempre più necessaria e il rilancio della questione sociale in un rinnovato modello sociale europeo.

In ogni caso, la direzione di marcia è giusta e dunque, avendo colto il risultato di rimettere in piena evidenza il tema dei diritti sociali in Europa, bisognerà ora avviare un’iniziativa di pressione sui governi nazionali e di mobilitazione europea per far sì che gli obiettivi dichiarati vengano inseriti in quadri legislativi vincolanti e, soprattutto, dotati delle risorse economiche necessarie. Al Pilastro europeo dei diritti sociali andrebbe affiancato un Protocollo per il progresso sociale, con valore equivalente a quello dei Trattati europei, per affermare il diritto a salari dignitosi e contrattati, a paghe uguali per i medesimi lavori, a ferie e copertura di malattie e infortuni, a garanzie di contrattazione e protezione per i lavoratori dipendenti come per i parasubordinati e gli autonomi, a equità di condizioni per i lavoratori distaccati, alla pratica della contrattazione e della rappresentanza sindacale, alla libertà e all'autonomia dell'iniziativa del sindacato a partire dalla possibilità di proclamare lo sciopero. Diritti che, per quanto possa sembrare paradossale, non sono ancora disponibili in tutti gli stati dell'Unione europea e che, dove esistono, sono sottoposti ad attacchi pesanti.

La Cgil, partecipando alle iniziative che il sindacato europeo ha organizzato a Göteborg alla vigilia del summit sociale dei capi di stato e di governo dell'Ue, ha insistito in particolare sulle questioni del dumping salariale e sociale da una parte e, dall'altra, del Fiscal compact, la cui scadenza al 31 dicembre di quest'anno è ormai imminente.

A noi pare non più sostenibile che nell'Unione europea e nella stessa area dell'euro vi siano differenze salariali abnormi tra paese e paese (con divari pari o superiori a dieci volte tra il paese più ricco e quello più povero quanto a pil pro capite) e permangano divergenze significative quanto ai sistemi di welfare, di protezione individuale e collettiva, di previdenza. Tutto ciò genera fenomeni di dumping e di concorrenza scorretta tra paesi e sistemi economici contigui, con il risultato di mettere i lavoratori gli uni contro gli altri e di alimentare un clima di permanente competizione al ribasso e di erosione di conquiste contrattuali e sindacali, spesso sacrificate in nome della spasmodica ricerca di maggiori margini di competitività. È davvero una spirale perversa, che occorre spezzare. Per questo, nell'appoggiare la campagna Our Pay Rise che il sindacato europeo ha lanciato per ottenere significativi aumenti salariali in tutta Europa, insistiamo sulla necessità di avviare un processo di graduale convergenza dei salari nei paesi dell'Unione e di mettere in campo un meccanismo salariale europeo condiviso in grado di garantire l'efficacia del percorso, con particolare attenzione alle dinamiche delle retribuzioni nei paesi dell'Europa orientale.

Siamo inoltre convinti che sia utile non procedere all'inserimento dei Fiscal compact nella legislazione nazionale ed europea alla scadenza dei cinque anni di validità del patto. Le regole sulla gestione dei conti pubblici e sulla correzione dei cosiddetti squilibri da eccesso di debito e, più in generale, i vincoli del Fiscal Compact e del sistema di governance dell'Unione, devono conoscere cambiamenti significativi poiché hanno dimostrato la loro inefficacia nel risolvere i problemi dell'economia europea e, anzi, hanno compromesso tanto la possibilità di uscire prima e meglio dalla crisi quanto le condizioni di vita e di lavoro in tanta parte dell'Europa. Per questo, la cultura liberista che ha ispirato e prodotto le modalità di governo dell'economia europea va archiviata, per aprire una fase nuova di politiche espansive, di investimenti, di buona e stabile occupazione, di crescita sostenibile. Una strada senza alternative per il futuro dell'Unione europea, per la sua stessa esistenza.

Post scriptum. Abbiamo scritto che il vertice europeo si tiene a Göteborg, in Svezia. È stata molto pressante la richiesta delle autorità svedesi di organizzare e ospitare questo vertice a forte connotazione sociale. La prima cittadina di Göteborg, Ann-Sofie Hermansson, prima di diventare sindaco è stata operaia alla Volvo. Il primo ministro svedese, il socialista Stefan Löfven, prima di diventare capo del governo è stato presidente del sindacato metalmeccanico svedese If Metall. Forse queste circostanze possono suggerire qualcosa, alla politica e alla sinistra del tempo presente in Italia e in Europa.

Fausto Durante è coordinatore Area politiche europee e internazionali della Cgil