I primi due decreti del Jobs Act sono stati approvati in via definitiva dal Consiglio dei ministri senza tenere conto dei rilievi mossi dal Parlamento (Commissioni Lavoro di Camera e Senato), soprattutto per quanto riguarda il contratto a tutele crescenti. C'è subito da dire che il trionfalismo con cui il presidente del Consiglio ha annunciato questi provvedimenti sembra del tutto fuori luogo. L'abrogazione sostanziale dell'art.18 (per i licenziamenti individuali e collettivi) dovrebbe garantire la ripresa dell'occupazione e di tante nuove assunzioni. Ma perché mai? Come è dimostrato da studi e ricerche è solo il trend positivo economico che può fare da incentivo alla ripresa delle assunzioni. Qualunque altra ragione ha rilievo insignificante.

È bensì vero che la situazione economica in apparente ripresa (il ministro Padoan ha parlato di fine della recessione e di un aumento stimato del Pil del 3.6%) dovrebbe di per sé determinare nuove assunzioni. E a questo dovrebbe aggiungersi l'effetto positivo della decontribuzione dei contratti a tempo indeterminato del 2015 prevista dalla legge di Stabilità. Se ci sarà ripresa dell'occupazione, dunque, sarà dunque per effetto di questi due fenomeni e non certo dell'eliminazione dell'art.18. Suscita comunque perplessità il fatto che il governo non abbia voluto fare marcia indietro almeno per quanto concerne i licenziamenti collettivi, sui quali un chiaro segnale era arrivato dal Parlamento (per la loro eliminazione dal pacchetto che esclude l'art.18).

Difficilmente comprensibile, poi, è l'altra affermazione del capo del governo secondo cui, con il nuovo schema di decreto sul riordino delle tipologie contrattuali, si eliminerebbe la gran parte dei contratti parasubordinati per convogliare tutti verso il contratto a tempo indeterminato. In realtà i contratti di parasubordinazione restano tutti, eccezion fatta per job-sharing e associazione in partecipazione, oltre ai contratti a progetto. E non è stato minimamente toccato nemmeno il contratto a termine (riducendo, come era stato suggerito, ad almeno 24 mesi il termine massimo di durata del contratto acausale). Come si pensa di portare tutti nel contratto a tempo indeterminato se si mantiene un contratto (quello appunto a termine) che rappresenta oggi l'80% delle assunzioni e che resta molto più conveniente per le imprese?

Per quanto riguarda il contratto a progetto, la sua abolizione a partire dal gennaio 2016 è stata presentata con le medesime suggestioni che avevano visto dodici anni fa l'eliminazione dei co.co.co. in favore dei co.co.pro. Ho sentito il capo del governo e il suo ministro del Lavoro affermare che l'eliminazione per legge dei co.co.pro produrrà la scomparsa delle false collaborazioni e il mantenimento solo delle genuine collaborazioni autonome. La stessa cosa era infatti stata affermata nel 2003, all'entrata in vigore del decreto legislativo che cancellava i co.co.co: e abbiamo visto tutti come i contratti a progetto siano diventati rapidamente un numero incalcolabile.

Allo stesso modo è ampiamente prevedibile che la cancellazione dei co.co.pro produrrà l'obbligo per i lavoratori a progetto di dover aprire la partita Iva per mantenere una sorta di rapporto di lavoro. E a fianco di un aumento esponenziale di nuove partite Iva si aggiungerà una reviviscenza massiccia del lavoro nero.

Tornando sul contratto a termine, c'è da notare che il decreto approvato prevede che il superamento delle soglie previste per legge o per contratto non determini la conversione del contratto in contratto a tempo indeterminato, ma venga semplicemente applicata una sanzione amministrativa. Da notare inoltre che è stato sostanzialmente riscritto l'art.2094 del codice civile: dal gennaio 2016 le collaborazioni che si concretizzino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro, rientrano nella disciplina del rapporto di lavoro subordinato.

Ultima notazione negativa è rappresentata dalla modifica dell'art.2103 del codice civile. con la previsione della possibilità per le imprese di assegnare al dipendente mansioni inferiori, nel caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali o nelle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva, anche aziendale. Inoltre possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni e del livello di inquadramento (quindi anche oltre un solo livello in meno) e della relativa retribuzione. Insomma, è senz'altro vero che venerdì 20 febbraio è una data storica, come ha detto il capo del governo, ma lo è per questa ulteriore violenta spallata ai diritti dei lavoratori.