Finalmente si comincia. Dopo quasi otto anni di blocco inizia oggi (martedì 27 giugno) la trattativa tra Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (Aran), confederazioni e sindacati di categoria per i rinnovi contrattuali di oltre tre milioni di lavoratori pubblici. Un confronto sicuramente non facile, che arriva a due anni esatti dalla sentenza della Consulta (che imponeva la riapertura della contrattazione nel pubblico impiego) e a otto mesi dall'accordo del novembre scorso tra il ministro Madia e Cgil, Cisl e Uil. Alla vigilia del primo incontro, abbiamo chiesto al segretario confederale Cgil Franco Martini di illustrare condizioni e prospettive del negoziato.

Rassegna  Qual è la prima richiesta che la Cgil intende porre al governo in apertura di trattativa?

Martini  È nostra intenzione definire già dal primo incontro un’ipotesi di possibile sviluppo del confronto, che poi col tempo si articolerà per i settori specifici dei diversi comparti. Intendiamo quindi individuare subito i prossimi appuntamenti: il nostro obiettivo è avere, almeno prima della pausa estiva, già alcune date fissate sul calendario per avviare il confronto in alcuni comparti, in particolare quello della funzione pubblica. I rinnovi contrattuali non dovranno realizzarsi in tempi biblici: avere subito una tabella di marcia è anche un modo per segnalare a tutti che si sta aprendo davvero una fase nuova.

Rassegna  Veniamo al “merito” della trattativa. E partiamo dalla questione economica: di quali cifre stiamo parlando?

Martini   La cornice entro la quale dovrà evolversi il confronto con il governo non può che essere quella delineata il 30 novembre 2016, con l’accordo firmato a Palazzo Vidoni tra il ministro Marianna Madia, Cgil, Cisl e Uil, che definisce le coordinate della nuova stagione contrattale. Dopo otto anni di blocco della dinamica salariale, noi rivendichiamo il rispetto di quanto previsto, cioè gli 85 euro d’incremento dei minimi tabellari.

Rassegna  La stabilizzazione del precariato è una battaglia che da anni la Cgil conduce anche nel pubblico impiego. Sarà un tema del negoziato?

Martini  Certamente sì, per noi è questione di indubbia rilevanza. La stabilizzazione delle migliaia di precari è un obiettivo che va perseguito nel contesto del superamento del blocco del turn over che in questi anni è stato imposto ai settori pubblici. Blocco che ha prodotto conseguenze negative dal punto di vista quantitativo – secondo i nostri calcoli mancano circa 160 mila unità di lavoro – e che ha provocato il progressivo invecchiamento delle risorse umane, fenomeno che ovviamente non aiuta il processo d’innovazione della pubblica amministrazione. La stabilizzazione dei precari andrà quindi accompagnata a una puntuale verifica dei fabbisogni occupazionali, che sono poi il riflesso della programmazione dei servizi, aspetto di cui si occuperà il secondo livello di contrattazione.

Rassegna  Dal punto di vista normativo, quali sono i vostri obiettivi?

Martini  Ce n’è uno su tutti: lo spostamento graduale dalla legge alla contrattazione. Il famoso “decreto Brunetta” produsse una forte centralizzazione normativa, quindi restaurando il primato della legge. Noi siamo per trasferire progressivamente una serie di materie dalla legge alla contrattazione: il traguardo della qualificazione, della riforma, dell’innovazione della pubblica amministrazione può essere perseguito soltanto coinvolgendo le lavoratrici, i lavoratori e le loro rappresentanze soprattutto nel livello di massima prossimità, laddove cioè è possibile intercettare i processi reali.

Rassegna  A essere interessati ai rinnovi del mondo pubblico sono oltre tre milioni di lavoratori, una parte importante – anche numericamente – del paese. Avvertite questa responsabilità?

Martini  La avvertiamo pienamente, ecco perché intendiamo riportare il lavoro e le sue funzioni al centro della vita della pubblica amministrazione. C’è la necessità di un forte investimento non solo di risorse finanziarie, ma anche di politiche innovative da parte del governo. In questi anni abbiamo assistito all’arretramento dello Stato dai principali servizi ai cittadini, a un processo incessante di riduzione della spesa pubblica – clamoroso è il caso della sanità, con il finanziamento della sanità privata col welfare contrattuale. Se riduciamo la funzione dello Stato nell’erogazione dei servizi otteniamo un paese più ingiusto e più disuguale. La stagione contrattuale che si apre, dunque, parla al paese, ai cittadini, ai più deboli, e parla con le parole dei diritti, della giustizia e della democrazia.