Lo scorso 14 settembre, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha emesso tre sentenze relative alla contrattazione a termine nel mercato del lavoro spagnolo. La più importante si riferisce alla questione formulata dal Tribunal Superior de Justicia de Madrid relativamente al trattamento nella legislazione dell’indennità per licenziamento dei lavoratori con contratto a termine e alla sua conformità con la Direttiva 1999/70 Cee del 28 giugno 1999, che raccoglie l’accordo quadro tra le parti sociali europee, Ces, Unice e Ceep, del 18 marzo 1999.

L’oggetto esaminato dalla Corte (C 596/14) si riferisce al ricorso presentato da una lavoratrice assunta con contratto interino (sostituzione) dall’amministrazione pubblica spagnola, a cui, al momento dell’estinzione del contratto stesso, non era stata riconosciuta alcuna indennità. Una fattispecie prevista espressamente dal sistema spagnolo, che stabilisce in materia un trattamento differenziato: 20 giorni di indennità all’anno riconosciuti nel caso dei contratti a tempo indeterminato, 12 giorni per i contratti a termine, mentre gli interini sono esclusi da qualunque indennità. Una discriminazione contenuta nello stesso Statuto dei lavoratori spagnolo, che la crisi e la legislazione degli ultimi anni in materia lavoristica ha reso molto più pesante.

La Corte Ue ha dato ragione alla lavoratrice, riconoscendo nella legislazione spagnola un atteggiamento discriminatorio, incompatibile con i principi comunitari. Gli effetti di questa sentenza, che riguardano quasi 4 milioni di lavoratori e lavoratrici spagnoli, che nell’ultimo anno sono stati licenziati con un’indennità ridotta (circa 550 mila dei quali in Catalogna), pur riferendosi a una situazione concreta e alla legislazione di un Paese specifico, interessano i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici dell’intera Unione. Per capirne le conseguenze, abbiamo sentito il parere di Dolors Llobet, segretaria della comunicazione di Comisiones Obreras (Ccoo) della Catalogna, e di Ignacio Camós, docente di Diritto del lavoro e della sicurezza sociale alla Universitat de Girona.

Il sindacato promuoverà azioni legali

“Pensiamo che si tratti di una sentenza importante per la situazione di alta precarietà del mercato del lavoro spagnolo”, ci dice Llobet, “perché toglie argomenti soprattutto a quelle imprese che utilizzano la contrattazione a tempo determinato per abbassare il costo del lavoro e coprono posti di lavoro strutturale con  contratti a termine. Un comportamento che ha assunto una dimensione più rilevante soprattutto a partire dalla riforma del lavoro del Partito Popolare, con l’abuso del ricorso alla contrattazione a termine”.

“La prima cosa che faremo è metterci a disposizione dei lavoratori interessati dalla sentenza – prosegue Llobet –, che si trovano nella condizione di poter reclamare una diversa quantità dell’indennità di licenziamento nel corso dell’ultimo anno. Poi chiederemo al governo le modifiche legislative pertinenti, per finirla con questa discriminazione che riguarda il lavoro a termine”. Il problema, segnala il sindacalista di Ccoo, “è che molte volte le Direttive comunitarie vengono trasposte nella legislazione degli Stati membri ‘al minimo’, con applicazioni restrittive dei diritti. In quei casi, l’unica soluzione è la via legale”.

Una critica diretta al mercato del lavoro spagnolo

“La sentenza è importante, perché si produce in un’epoca di tagli dei diritti e delle libertà sindacali, afferma il giuslavorista Camós. “È una critica decisa al sistema di contrattazione spagnolo, e riguarda la struttura del mercato del lavoro, indipendentemente dalla congiuntura politica: il mercato del lavoro spagnolo è fortemente dualizzato e permette questo genere di discriminazioni. La conseguenza più immediata di quanto stabilito dalla Corte di Giustizia europea è che chiunque con un contratto a termine voglia reclamare il riconoscimento di un’indennità equiparabile a quella di un contratto a tempo indeterminato può farlo, perché l’indennità rientra nelle condizioni contrattuali di lavoro”.

Non solo. “La sentenza obbliga almeno indirettamente il governo ad adeguare la propria normativa a quella comunitaria – continua Camós –, e mentre ciò non avvenga, permette che gli interessati reclamino i loro diritti per via legale. È vero che la Corte non può obbligare la politica, ma il governo è tenuto a fare le opportune modifiche allo Statuto dei lavoratori per evitare la giudicializzazione dei ricorsi”. Ma la decisione della Corte Ue rappresenta un importante precedente anche per un altro motivo: “In un momento in cui è messo in questione il ruolo dell’Unione – sottolinea il docente dell’Università di Girona –, la sentenza apre una finestra sulla difesa dei diritti dei lavoratori, sulla possibilità di costruire un’Europa più sociale, esprimendosi contro le discriminazioni nella contrattazione”.

La diatriba non è circoscritta alla sola Spagna, influenzando il dibattito in diversi Paesi appartenenti all’Unione: “La sentenza dice che dev’esserci equiparazione tra contratti a termine e contratti a tempo indeterminato – conclude Camós –. La domanda che un po’ ovunque comincia ad affacciarsi è: equiparare verso dove, verso l’alto o verso il basso? Ossia: passare l’indennità dei contratti a termine a 20 giorni, o ridurre quella dei contratti a tempo indeterminato a 12? E qui, come è facile immaginare, si apre un’intensa discussione politica e sindacale. La mia opinione da giuslavorista è che l’equiparazione vada fatta verso l’alto”.