Il decreto Salvini è tutto basato su logica autoritaria, sia dal punto di vista di come è stato prodotto, senza cioè alcun confronto né con le associazioni né in Parlamento, sia ovviamente dal punto di vista dei contenuti”. Lo afferma Luciano Silvestri, responsabile legalità e sicurezza della Cgil nazionale, commentando in una intervista a RadioArticolo1 il testo che ieri è stato approvato con il ricorso alla fiducia al Senato e ora passa alla Camera per il via libera definitivo. “Anzitutto – osserva il sindacalista – nella lotta alla mafia c’è poca concretezza e molta propaganda. Mi spiego: nel rendere sistematicamente possibile la vendita ai privati dei beni sequestrati, lo Stato arretra e non capisce che il riutilizzo sociale di quei beni sottratti rappresenterebbe invece un deterrente straordinario, come sosteneva Pio La Torre. È quello che abbiamo provato a mettere in evidenza in un appello firmato da un largo schieramento di forze. Ma certamente non ci fermiamo qua, continueremo la nostra battaglia anche perché dopo il Senato c’è la Camera e speriamo che qualche spiraglio si possa riaprire, anche se ne dubito”. Tra l’altro, “si pensa alla soluzione dei problemi attraverso la militarizzazione del territorio”, una cosa che va in netto contrasto con la manovra nella quale “mancano le risorse destinate al contratto, al riordino delle carriere, agli organici. Anzi, le retribuzioni di quegli operatori rimarranno al palo, non avranno alcun miglioramento”.

L’altro aspetto del decreto al centro delle critiche riguarda l’immigrazione. “Le grandi democrazie – rimarca il dirigente sindacale – hanno dimostrato che la sicurezza si ottiene attraverso i processi di integrazione; laddove invece questi processi non si sono affermati, c’è stata un’esplosione di violenza e insicurezza. Questo è il tema fondamentale che manca, è il vulnus nell’impostazione del governo, come dimostra l’idea di costruire grandi centri di aggregazione degli immigrati al posto della diffusione. Qui c’è la logica quasi dei campi di concentramento, uso una parola forte, ma in realtà mi viene questa visione: vuol dire costruire dei centri dove l’esplosione della violenza, in assenza totale di un processo di integrazione, può avvenire da un momento all’altro, perché tu aggiungi disagio a disagio nei confronti di persone che scappano dai territori di guerra e dalla fame. E non è neanche vero – aggiunge – che la riduzione dei contributi può evitare le infiltrazioni malavitose, mafiose o la corruzione, sono fenomeni che non si combattono in questo modo”. Viene alla mente il caso Riace. “Non è un caso che si è fatto di tutto per chiudere un’esperienza virtuosa come quella, evidentemente già si pensava a realizzare un altro sistema completamente diverso”.

Tra le altre cose, viene introdotto il reato di accattonaggio molesto, che significa pensare alla povertà come a una colpa: “Ognuno di noi si è imbattuto in una coda di auto e ha visto persone che si affacciano ai finestrini magari zoppicando, con il bastone, a chiedere un obolo. Quante volte è successo che abbiano molestato o agito in qualche misura con qualche atto di violenza nei confronti degli automobilisti? Semmai a volte, purtroppo, capita il contrario. Ma sono questi gli episodi che determinano un elemento di insicurezza nel Paese? Via, non scherziamo. In pratica – conclude Silvestri – si parla del nulla, si fa semplicemente propaganda e non si affrontano i problemi veri, come il racket che sta dietro a quelli che chiedono l’elemosina”.