Il licenziamento illegittimo comminato dal cedente, nell’ambito di trasferimento d’azienda, comporta il diritto alla reintegra presso il cessionario nei cui confronti può essere promosso il giudizio. È quanto ha affermato la Corte di Cassazione con una sua sentenza (la n. 26401), prendendo le mosse dal caso di un lavoratore che, dopo essere stato licenziato da una banca, ha deciso di impugnare il provvedimento nei confronti della società a cui era stato ceduto il ramo di azienda cui era addetto.

Sia il tribunale che la Corte d’appello rigettavano il ricorso, dichiarando il difetto di legittimazione passiva della società cessionaria. Secondo i giudici del merito, al momento del conferimento del ramo di azienda da parte della datrice di lavoro, egli non era più alle dipendenze della banca conferente, di modo che non poteva trovare applicazione il disposto di cui all'articolo 2112 del codice civile, il quale suppone la vigenza del rapporto di lavoro al momento del conferimento dell'azienda e non è pertanto applicabile ai crediti maturati nel corso di rapporti cessati ed esauriti anteriormente.

Chiamata in causa la Corte di Cassazione, con la sentenza in questione, accoglieva il ricorso del lavoratore. Ciò che va sempre verificato – a giudizio della Suprema Corte – è se, al momento della cessione, il rapporto di lavoro può dirsi ancora esistente, in modo tale da rientrare tra i rapporti contrattuali oggetto del trasferimento alla società conferitaria. La Cassazione riteneva di poter dare a tale quesito risposta affermativa, richiamando la propria giurisprudenza, secondo la quale il trasferimento della titolarità dell'azienda, con qualunque strumento giuridico effettuato, comporta la continuazione del rapporto lavorativo con lo stesso contenuto che aveva in precedenza, senza che possano essere negati al lavoratore diritti che, eventualmente riconosciuti per via giudiziaria in epoca successiva al trasferimento, siano in ogni caso eziologicamente ricollegabili alla posizione lavorativa assunta anteriormente al trasferimento.

È pur vero che l'articolo 2112, comma 2, del codice civile nel prevedere la solidarietà tra cedente e cessionario per i crediti vantati dal lavoratore al momento del trasferimento d'azienda presuppone la vigenza del rapporto di lavoro e quindi non è riferibile ai crediti maturati nel corso di rapporti di lavoro cessati ed esauriti anteriormente al trasferimento stesso. Tuttavia, non si è mai dubitato in giurisprudenza che l'esaurimento o la cessazione del rapporto identifichino situazioni giuridicamente rilevanti e non vicende meramente fattuali. I rapporti di lavoro, quali rapporti giuridici, non si esauriscono, né cessano in via di mero fatto, richiedendosi a tal fine il verificarsi di circostanze giuridicamente rilevanti, idonee a produrre effetti estintivi.

Ora, l'effetto estintivo del licenziamento annullabile è un effetto del tutto precario, idoneo a essere travolto fra le parti dalla pronunzia di annullamento, con la conseguenza che, a norma del citato articolo 2112, il rapporto di lavoro ripristinato fra le parti originarie si trasferisce al cessionario. L'ulteriore conseguenza è che deve ritenersi sussistente la legittimazione passiva dell'impresa cessionaria, nei cui confronti correttamente è stata proposta la domanda di impugnativa del licenziamento.

A tale soluzione non osta, secondo la Corte, la Direttiva 77/187/Ce, la quale prevede, secondo l'interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia europea, che i lavoratori licenziati in contrasto con la Direttiva debbano essere considerati dipendenti alla data del trasferimento, senza pregiudizio per la facoltà degli Stati membri di applicare o introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori.