Non è bastata la Basilica di Assisi sullo sfondo, e nemmeno la cornice del suggestivo Cortile di Francesco, a far discendere la pace sul travagliato dibattito in corso tra imprese e sindacato sulla riforma del modello contrattuale. Anzi, lo scenario che emerge a pochi giorni del duro faccia a faccia tra il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi e la segretaria generale della Cgil Susanna Camusso è di quelli che non fanno presagire davvero nulla di buono. Con il primo che – nell’occasione particolarmente nervoso – non ha esitato a chiudere il suo intervento alla kermesse umbra con un perentorio “ormai è un dialogo tra sordi”.

Né il luogo, né tantomeno il titolo dai toni decisamente concilianti del confronto da tempo promosso dal Sacro Convento (“Lavoro e umanità”) sono riusciti a rasserenare l’animo pugnace del leader di viale dell’Astronomia. Che già alla ripresa dalla pausa agostana si era distinto per la durezza con cui aveva attaccato Cgil, Cisl e Uil, principali responsabili a suo dire dei tempi eccessivamente lunghi occorsi per approvare – nel gennaio 2014 – il Testo Unico sulla rappresentanza, guardandosi bene nel contempo di soffermarsi sulle responsabilità dei suoi associati nel ritardo dell’applicazione dello stesso accordo.

A cosa si deve tanto nervosismo? Una cosa con certezza si può dire: al presidente degli industriali italiani non piace affatto il clima di difficoltà che sta accompagnando da qualche tempo la trattativa sulla riforma dei contratti. Si può ben immaginare, dunque, con quale stato d’animo il patron della Mapei abbia accolto la decisione di Cgil e Uil di non presentarsi – lo scorso 22 settembre – all’incontro tecnico deciso dalle tre confederazioni assieme a Confindustria per tentare di sbloccare la stagione dei rinnovi, con la motivazione che i negoziati per il ccnl di alcune importanti categorie dell’industria, segnatamente quelli degli alimentaristi e dei chimici, sono bloccati dal veto confindustriale nei confronti delle proprie associazioni di settore (nella fattispecie, Federalimentare e Federchimica).

Una motivazione invero suffragata da parecchi indizi. È noto da tempo che l’obiettivo di Confindustria – spinta dal vuoto creato dalla decadenza dell’accordo separato del 2009  e dall’esigenza di definire nuove regole, anche in relazione all’urgenza di agganciare la ripresa – è quello di arrivare in tempi rapidissimi alla definizione di un nuovo modello contrattuale (“Il mondo cammina a velocità supersonica, non possiamo andare avanti con i modelli del passato”, ha scandito a chiare lettere Squinzi in occasione del faccia a faccia di Assisi).

Un punto di vista a cui i sindacati, pur non negando la necessità di procedere a un aggiornamento dell’attuale sistema contrattuale, contrappongono (la Cgil e la Uil con più convinzione della Cisl) un altro tipo di ragionamento: poiché non esiste un’ora zero a partire dalla quale tutti i settori hanno proceduto al rinnovo del proprio ccnl, nessuna discussione sulla riforma da mettere a punto può avvenire fermando la ruota delle trattative in corso. Di più. Proprio facendo leva sui tavoli già aperti, si dovrebbe tentare di trasformare i prossimi ccnl, laddove possibile, in veri e propri incubatori di contenuti innovativi da introdurre nel nuovo modello da costruire.

Alla base di tale orientamento si nasconde un timore: e cioè che dietro a tutta questa spinta a fare presto (condivisa da buona parte dei partiti politici) ci sia il tentativo di Confindustria di imporre – cavalcando strumentalmente le difficoltà economiche attraversate dal paese – il proprio modello, basato su una forte compressione dei minimi salariali e su una loro trasformazione in elemento variabile. Il punto è che, se prevalesse il progetto di viale dell’Astronomia, a uscire dalla contesa in corso svalorizzata sarebbe proprio la funzione fondamentale del contratto. Un “lusso” che, men che meno nell’attuale fase di crisi, il mondo del lavoro non può assolutamente permettersi.