Da Cuba al Senegal, fino all'Albania. Arrivati in Italia in cerca di lavoro, passati per pregiudizi e mille difficoltà, poi l'incontro con la Cgil. E da migranti diventano sindacalisti, fino a raccontare la loro storia oggi al seminario “Migranti e Cgil”, organizzato nella sede della Cgil Toscana, a Firenze, a cui sono intervenuti Maria Grazia Meriggi, dell'università di Bergamo; Alberto Tassinari, di Ires Toscana; Kurosh Danesh, della Cgil nazionale.

Ha commentato Maurizio Brotini, della Cgil Toscana: “Da noi i migranti, esclusa la categoria dei pensionati, sono oltre il 15%, una realtà fondamentale. Oggi abbiamo dato voce a un numero significativo di migranti, che non solo hanno scelto la nostra organizzazione come strumento di tutela e di rivendicazione, ma svolgono una funzione di direzione politica, nelle categorie, nei servizi, nelle Rsu e Rsa. Qual è stato il loro percorso, come hanno incrociato la Cgil, perché l’hanno scelta, come vivono il loro ruolo, cosa potremmo fare di più e meglio. Una riflessione che si pone l’obiettivo di includere, rappresentare, organizzare tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici, indipendentemente dal loro paese di origine, con la consapevolezza della complessità che questo richiede. Perché questa è la Cgil”.

Le storie di migranti sindacalisti

Osmadi Abedin, della Fillea di Pisa: “Quando il sindacato tutela il lavoro, lo fa senza distinzione di nazionalità. Noi ormai siamo stranieri nei paesi d'origine. I lavoratori immigrati sono sempre a rischio d'irregolarità, perché dipendono dal posto di lavoro. Ma come poi farebbero le famiglie senza le badanti straniere?”
Ndiaye Babacar, della Fillea di Arezzo: “Un mio cugino senegalese mi ha portato allo sportello migranti del sindacato. Ciò ha influenzato in meglio la mia vita”.

Ditila Hako, dell'Inca di Pistoia: “Negli ultimi anni la società è diventata più aggressiva verso i migranti. Il comparto dei servizi è uno di quelli che, secondo me, attirano di più i migranti nel mondo Cgil”.
Sofia Hurtado: “Sono un'ex delegata della Fp di Firenze. Noi immigrati vogliamo essere protagonisti, si parla di noi senza parlare con noi. Lancio una proposta: sindacati e associazioni organizzino gli Stati generali sull'immigrazione, e realizzino un libro bianco sul tema”.

Arian Malvataj, della Fillea di Siena: “Avevo 19 anni, lavoravo in fabbrica, e poi in edilizia, senza sapere i miei diritti. Poi ho conosciuto la Cgil e ho capito che i lavoratori sono tutti uguali. Ho passato tanti momenti difficili e subìto anche un infortunio grave sul lavoro: sono stato dei mesi con le stampelle e senza stipendio, e l'azienda mi voleva scaricare dandomi la colpa. Grazie ai ricorsi della Cgil, sono tornato in cantiere con dignità, più rispettato di prima. Queste sono le cose con cui far capire a tutti cosa è la Cgil; io sono stato fortunato, ma tanti colleghi stranieri sono in difficoltà”.

Rexhep Paja, della Fillea di Livorno: “Non so se mi sento più italiano o albanese, ormai. Purtroppo, in Italia passano dei messaggi sui media, secondo i quali gli stranieri vengono a rubare il lavoro agli italiani. Ma Inps e Poste italiane, ad esempio, sono stati sanati grazie agli stranieri, e noi nemmeno possiamo votare. In Italia, il problema è la corruzione, non noii”.

Josefa Quesada, della Flai di Livorno: “Sono giunta in Italia da Cuba sedici anni fa. Mi stanno a cuore i problemi delle donne, molte delle quali si vergognano a chiedere aiuto”.

Eddie Efanga, della Cgil di Siena: “Quando sono arrivato in Italia negli anni Ottanta, c'era poca immigrazione e tanti pregiudizi verso di noi, quando ti vedevano, portavano via i bambini. L'unica porta che ci aprì fu quella della Cgil. Ora la politica vuole indebolire il sindacato, ma questa battaglia d'integrazione va continuata. È importante la questione dei contributi pensionistici: quando i migranti tornano in patria li perdono, e chi resta qua non riesce ad avere una pensione. Non è giusto”.