A Roccastrada tutti lo chiamano "il reduce". Sopravvissuto ai campi di lavoro nazisti, sopravvissuto alla strage di Ribolla (Grosseto), dove nel 1954 persero la vita 43 minatori per un'esplosione di gas e lui si salvò per dieci metri. È la storia incredibile di Imolo Martini, 93 anni, professione minatore e leggenda vivente. Quel maledetto 4 maggio, ancora oggi commemorato ogni anno, Imolo se lo ricorda bene.

"Io mi sono salvato per dieci metri, se fossi stato dieci metri avanti non sarei qui ora, sarei polvere e basta. Quel giorno a Ribolla lo scoppio è stato alle otto e dieci, a un tratto si sente un boato. Con me c'era un collega, più esperto, gli chiesi cosa fosse successo. Lui mi guardò negli occhi e mi disse: 'Te ne accorgerai tra un quarto d'ora di cosa è successo...'. E infatti poco dopo iniziò a passare gente correndo e gridando: 'Sono tutti morti, sono tutti morti...'. E allora prima si scappò, poi si iniziò a guardarci intorno, 'ma dove è tizio, dove è caio"..., si tornò in miniera. Mi sono morti a dieci metri di distanza, dieci metri sono pochi, e a volte basta anche un metro. Io il giorno dopo ritornai a cavare i morti". Queste le sue parole, nella testimonianza raccolta della Cgil Toscana (guarda il video).

Nella miniera, sindacati e lavoratori si mobilitavano spesso per lanciare allarmi sulla sicurezza sul lavoro. E con la controparte la vita non era semplice, soprattutto per gli iscritti al Pci e alla Cgil. Un esempio su tutti: l'aneddoto del maialino d'india.

"Siccome si reclamava che i lavori erano parecchio caldi e duri e che in miniera non ci si resisteva, l'ingegnere che dirigeva le attività mise là sotto dei maialini d'India in una gabbietta. Ora ci si ride ma a ripensarci... Insomma, questi maialini un po' ci resistevano, dunque l'ingegnere disse che se ci resistevano i maialini d'India allora dovevano resisterci anche gli uomini. E poi successe quello che successe. Proteste? Si facevano, anche se con gli scioperi si doveva stare attenti, si rischiava il licenziamento e poi come si sfamavano i figli? Io ne avevo quattro, ma ho sempre fatto tutti gli scioperi, nemmeno un'ora ho saltato".

Quella di Ribolla è la maggiore strage mineraria sul lavoro del secondo dopoguerra in Italia: ai funerali delle vittime parteciparono 50mila persone tra cui Giuseppe di Vittorio. Ma Imolo si è imbattuto anche in un'altra tragedia del novecento. A poco più di venti anni, militare di stanza a Cuneo, fu deportato dai nazisti nei campi di lavoro tedeschi.

"Ero alla stazione, aspettavo che partisse un treno da Cuneo, invece tutto a un tratto entrano i tedeschi, 'Raus', e ci fanno stendere tutti a terra. Ci chiusero dentro il treno, quando riaprirono le porte non ci si intendeva più a parlare: eravamo già in Germania. Nei campi mi ridussi a pesare 55 chili. La vita era dura, quando ti dicevano di andare dovevi farlo, e se cadevi per terra dallo sfinimento... Ti sparavano. E guai se provavi a soccorrere un compagno in difficoltà. Io una volta mi azzardai a farlo, mi dettero una terribile pedata nel sedere".

Dietro il sorriso di Imolo, ci sono tante cicatrici. E nonostante i decenni passati, dimenticare è impossibile.
"Io a volte passo le nottate in bianco anche ora. Quando sogno il giorno dello scoppio a Ribolla, la notte non dormo più. A raccontarlo è una cosa, ma ad averlo vissuto...".

Nel processo per la strage di ribolla non è stata emessa alcuna condanna, tra la difficoltà delle indagini e alcuni risarcimenti alle famiglie. Oggi, in provincia di Grosseto negli ultimi cinque mesi si sono contati cinque morti sul lavoro. Da quel 4 maggio 1954 a Ribolla fino ad ora, di strada da percorrere per la sicurezza sul lavoro ce n'è ancora tanta.