L‘Osservatorio nazionale sul precariato dell’Inps conferma nella sua ultima rilevazione mensile l’andamento negativo del lavoro in Umbria. Nei primi sette mesi dell’anno (periodo gennaio-luglio 2017) continuano infatti a diminuire le attivazioni con contratto a tempo indeterminato: dai 12.624 del 2015, ai 7.324 del 2016, ai 6712 del 2017. La diminuzione nel 2017 rispetto al 2016 è del 9,0%, contro una media nazionale di diminuzione del 4,6%. Solo Liguria e Lazio fanno peggio in questa non esaltante graduatoria.

Va anche detto che il complesso delle attivazioni (tenendo conto dei contratti a tempo determinato, apprendistato e stagionali) corrisponde a 47.344 unità, di fronte a 36.391 cessazioni, dato che potrebbe dare l'illusione di un aumento dell’occupazione. Ma, appunto, si tratta di una distorsione della realtà, visto che una persona può attivare più contratti a termine nell’arco del periodo considerato.

Non a caso, l’Istat proprio in questi giorni, ha effettuato una rilevazione sul secondo trimestre 2017 dalla quale risulta una riduzione dell’occupazione in Umbria: gli occupati complessivi (dipendenti e autonomi) sono scesi a 353 mila unità rispetto alle 355 mila del secondo trimestre 2016 e alle 359 mila del primo trimestre 2017. Non solo, i disoccupati in un anno sono passati da 39.700 a 41.400.

Tornando alla rilevazione dell’Inps c’è da sottolineare che, considerando anche le trasformazioni avvenute da altre tipologie in contratti a tempo indeterminato, nei primi 7 mesi del 2017 solo il 21,7% delle attivazioni in Umbria rientra in questa tipologia contrattuale, mentre la percentuale nazionale, pur estremamente bassa, è del 24,2%. Quindi, in sostanza, il lavoro, quando c’è, continua a essere fragile, povero e sostanzialmente senza tutele e senza diritti. È necessario modificare profondamente le politiche economiche e del lavoro, perché non si può costruire il futuro sul lavoro precario e senza prospettive reali.

Mario Bravi è presidente dell'Ires Cgil Umbria