A un anno dall’inizio del terremoto 2016-2017, uno dei più complessi, vasti e lunghi eventi sismici degli ultimi decenni, è necessario fare un bilancio, seppure provvisorio, di quanto è accaduto: di quanto è stato fatto e, fuori dalla propaganda, di cosa non è stato neppure avviato. È giusto farlo per rispetto delle popolazioni coinvolte e anche per definire le priorità dell’agenda dei prossimi mesi.

Il ripetersi delle scosse ha obbligato a iniziare ogni volta da capo le verifiche dei danni alle strutture pubbliche e private colpite e modificare dimensione e confini del cratere di riferimento. Il numero di comuni (e frazioni) coinvolti è enorme. Le dimensioni medie di quelle realtà territoriali sono certamente non adatte alla gestione dei problemi straordinari (e spesso nemmeno ordinari) legati all’emergenza e alla ricostruzione.

Non esistono enti di area vasta in grado di garantire l’ordinaria manutenzione delle strade provinciali e i servizi minimi per il territorio (per responsabilità di una riforma nazionale pasticciata e incompleta). Le quattro regioni coinvolte non si sono fino a questo momento coordinate fra loro, né sul piano regolamentare normativo, né tantomeno su quello dei progetti da avviare nel breve e nel lungo periodo. L’avvicinarsi di scadenze elettorali regionali non fa essere ottimisti sulla possibilità che un nuovo coordinamento venga avviato. Per fortuna, nelle drammatiche circostanze del sisma si è toccata con mano la generosità delle associazioni di volontariato e dei corpi preposti all’emergenza (Protezione civile, Vigili del fuoco tra i primi) e tutta l’inefficienza burocratico-amministrativa delle istituzioni di governo del territorio (senza contare l’incapacità delle stesse istituzioni di relazionarsi fra loro).

Anche a livello nazionale non è realistico fare un bilancio positivo di come si è gestita l’emergenza sisma. Fin dall’inizio, sono stati dati segnali sbagliati alle popolazioni coinvolte, facendosi prendere più dalla propaganda che dal realismo. “Ricostruiremo tutto com’era e dov’era”, è un indirizzo privo di senso comune, oltre che di razionalità tecnica e politica, e un impegno che non può essere mantenuto. Costruire com’era prima significa non ridurre i rischi strutturali degli edifici; dov’era prima è spesso “fisicamente” impossibile, oltre che socialmente discutibile, per la conformazione di quei territori e per la necessità di fornire servizi adeguati alle esigenze della popolazione (trasporti, scuola, sanità, strutture commerciali ecc.).

Il secondo errore è stato quello di promettere tempi irrealistici di ripristino delle nuove condizioni abitative stabili. Le esperienze precedenti (anche quelle meglio gestite) ci insegnano che la ricostruzione si misura in decenni non in mesi. Il terzo errore è pensare che sia finita la fase del coordinamento nazionale delle politiche di ricostruzione e si possa avviare un decentramento delle funzioni di ricostruzione sulle Regioni. A questi errori si aggiungono i ritardi nella gestione delle soluzioni provvisorie (case e scuole) e nelle attività di trattamento delle macerie e ripristino viabilità.

A un anno dalla prima scossa, le quattro Regioni e il governo hanno divulgato bilanci delle cose fatte. E per fortuna alcuni interventi sono effettivamente partiti. Ma l’idea divulgata attraverso i media che l’emergenza sia ormai superata e che la ricostruzione sia avviata è falsa e umiliante per quelle persone che sono ancora sfollate (decine di migliaia) e per tutti quelli che continuano ad abitare precariamente (in roulotte, tende, baracche) vicino alla propria casa inagibile.

La realtà è diversa dalle dichiarazioni e dai sogni. Amatrice in queste settimane è piena di turisti, la grande maggioranza degli altri paesi e delle frazioni è deserta. Le macerie sono state in parte compattate e coperte (alla vista), ma non rimosse e trattate. Le casette installate sono meno del 25% delle richieste fatte dai Comuni, nelle Marche 42 su 1800, mentre la viabilità ripristinata è ancora a circolazione limitata e precaria (con i danni del sisma sulle strade non riparati). Non solo. Alcune strade provinciali si interrompono di colpo nel transito da una all’altra provincia o regione. I servizi minimi non sono stati ripristinati per mancanza di abitanti stabili, le persone che sono ancora nei paesi e nelle frazioni non hanno le poste e le farmacie.

Come accade più spesso di quanto si pensi, per l’emergenza e la ricostruzione non mancano le risorse impiegabili (pubbliche e private, nazionali, regionali ed europee): mancano indirizzi di spesa, capacità di definire progetti condivisi e realizzarli in tempi accettabili in maniera coordinata su tutta l’area. Manca un piano di prevenzione di medio periodo che riduca i rischi sismici (e quelli idreogeologici, ambientali ecc.) diffusi in gran parte del territorio nazionale. Manca una legge quadro che regoli la gestione degli eventi calamitosi.

Le strutture regionali e territoriali della Cgil coinvolte dal sisma (anche l’ultimo evento che ha colpito l’isola di Ischia) realizzeranno un proprio bilancio critico di quanto è stato fatto, definiranno le priorità ancora da soddisfare e le presenteranno al governo in occasione dei prossimi Stati generali sul sisma.

Gaetano Sateriale è coordinatore del Piano del lavoro della Cgil nazionale