“Sanità, bene comune: tu cosa ne pensi?”. È il titolo di un’indagine, promossa da Federconsumatori in collaborazione con Spi Emilia-Romagna, Auser e Cgil Emilia Romagna, mossa dalla volontà di interrogare il maggior numero di cittadini della regione sul tema caldo della sanità. Lo studio ha permesso alle 2.500 persone interpellate di esprimersi riguardo all’evoluzione della propria spesa sanitaria familiare, indagandone natura e gravosità, e di valutare il sistema sanitario pubblico, manifestando il proprio indice di gradimento per una serie di dimensioni del Ssn (politiche sanitarie, rete di servizi, liste di attesa, livello tecnologico della diagnostica).

In aumento le spese sanitarie familiari, mentre si configurano aree di “sanità negata”. Secondo il 50,3% del campione le spese sanitarie familiari sono aumentate nell’ultimo anno, aumento che si registra in misura maggiore al crescere dell’età e per chi gode di condizioni di salute non buone, sottolineando come a una richiesta di maggiore assistenzialismo si sia accompagnata una crescita della spesa sanitaria. A ridurre la spesa è stato, invece, il 9,8% del campione, di cui il 74% per motivi economici. La rinuncia interessa in modo particolare soggetti afferenti alla fascia reddituale inferiore ai 1.000 euro mensili, colpendo pensionati, ma anche lavoratori “poveri”.

Il fenomeno del razionamento della spesa sanitaria per motivi economici, che registra percentuali più elevate per la quota femminile, viene indirizzato soprattutto verso visite specialistiche e prestazioni odontoiatriche e si configura come rinuncia definitiva nel 52,2% dei casi. L’analisi restituisce una quota di cittadini interessati dal fenomeno della “sanità negata” prossima al 3,7%; dato nettamente al di sotto (e forse più realistico) rispetto alla percentuale stimata dal rapporto Censis-Rbm Assicurazione Salute per l’Emilia Romagna, dove si registrava una quota pari a circa il 17% della popolazione residente.

Ricorso a prestazioni sanitarie interamente a carico. Il driver dell’aumento della spesa sanitaria totale risulta essere l’aumento della spesa sanitaria stessa, interamente a carico dei cittadini: il 77% di coloro che segnalavano già un aumento della spesa sanitaria totale, infatti, segnala anche un aumento della spesa sanitaria interamente a carico. L’aumento si giustifica per una maggiore attrattività del mondo privato, dovuta all’abbattimento dei tempi di attesa e alla possibilità di scelta del medico.

La faccia diseguale dei fondi sanitari contrattuali. La copertura della spesa sanitaria privata risulta di natura out of pocket (di tasca propria) nell’82,5% dei casi: al crescere del reddito aumenta la quota di spesa intermediata da fondi sanitari contrattuali, evidenziando come una maggiore copertura dei bisogni sanitari venga garantita proprio a fasce di reddito più elevate, mentre le fasce reddituali più deboli vengono lasciate scoperte; meccanismo che agisce in senso contrario a un’ottica redistributiva.

A fronte di una quota così elevata di spesa privata out of pocket, i fondi sanitari integrativi, che prevedono sicuramente una riallocazione più efficiente della spesa e una migliore distribuzione del rischio tra il pool di assicurati, si accompagnano a seri costi in termini di equità. Il modello di welfare contrattuale come strumento di integrazione dell’offerta sanitaria costituisce un mezzo di risposta poco esaustivo e non sembra agire in un’ottica di complementarietà tra sistema pubblico e privato. Nei dati analizzati la presenza di fondi sanitari contrattuali tutela fasce reddituali già forti e costituisce elemento di diseguaglianza.

Prospettive di profonda incertezza sulla capacità di far fronte alla spesa sanitaria. In prospettiva futura dilaga l’incertezza riguardo alla possibilità di far fronte ai bisogni di salute per il 44% degli intervistati, per gli under 35 domina il profilo dei “positivi pessimisti”: non credono di poter far fronte alle spese sanitarie future, seppur godano di uno stato di salute buono.

Grande insoddisfazione per le liste di attesa e le politiche sanitarie a livello nazionale. In sede di valutazione del sistema sanitario, la performance migliore l’ha registrata il livello tecnologico della diagnostica, raccogliendo un punteggio del 6,2 su 10, seguito dal medico di base e dall’accoglienza del personale. Il peggior risultato è invece associato alle liste di attesa e alle politiche sanitarie a livello nazionale. Territori diversi manifestano indici di soddisfazione diversi, il più critico in regione è relativo alla provincia di Ferrara.

La capacità di fronteggiare i bisogni assistenziali futuri influenza la valutazione del sistema sanitario pubblico: a visioni più pessimistiche si associano gradi di insoddisfazione più elevati. Rilanciare il tema dell’universalismo del diritto alla salute significa, quindi, ridurre il fenomeno della “salute diseguale” e ricostruire logiche di welfare inclusive, soprattutto in periodi di crisi, al fine di trasmettere e garantire maggiore sicurezza a tutti i cittadini.

Marzia Moccia è ricercatrice dell’Ires Emilia Romagna