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Le navi sono un ambiente di lavoro molto rischioso. Da un punto di vista strutturale sono caratterizzate da battenti, aperture, travi e sporgenze, la cui conformazione comporta pericoli di inciampo e urti. Il personale imbarcato utilizza continuamente scale, a volte con pendenze elevate, sia per il passaggio interno tra i ponti sia per raggiungere le zone di manovra esterne. Operazioni che spesso vengono svolte in cattive condizioni meteorologiche, che rendono ancora più instabile e scivoloso l’ambiente di lavoro, oppure in condizioni di ridotta prontezza di riflessi, perché il lavoratore si è appena svegliato o è sopraffatto dalla stanchezza.
Un contesto foriero di numerosi incidenti, che vede al primo posto delle statistiche scivolamenti e cadute. È proprio a quest’ultime che è dedicata la ricerca “Le cadute dall’alto per l’attività di lavoro marittimo: studio della casistica nosologica e ipotesi di interventi preventivi”, pubblicata dall’Inail nel dicembre scorso, con il contributo del ministero del Lavoro e la collaborazione del ministero delle Infrastrutture.
Lo studio prende in esame gli infortuni registrati sulle 6.800 imbarcazioni italiane (la flotta mercantile italiana è la prima nell’Unione Europea per numero di unità, e l’undicesima nel mondo per tonnellaggio) nel periodo 2004-2011, concentrandosi in particolare sulle cadute dall’alto, che rappresentano quasi la metà degli incidenti nel lavoro marittimo. Uno studio approfondito (di cui forniamo ampia sintesi), che si conclude con l’individuazione degli accorgimenti e delle innovazioni necessari per migliorare la sicurezza e la salute dei lavoratori.
Gli infortuni
Nel 2009 gli incidenti occorsi ai lavoratori marittimi sono stati 1.271 (cui vanno sommati 29 in itinere). L’importo complessivo liquidato dall’Inail per inabilità temporanea ha superato gli 11 milioni di euro, mentre quasi 137 mila sono state le giornate lavorative perse a causa dell’evento lesivo. Il 50,7 per cento di questi infortuni, quindi 645 incidenti, è dovuto a scivolamenti o inciampi, con cadute a livello o dall’alto: questa tipologia rappresenta il 58 per cento delle giornate lavorative perse (pari a quasi 78 mila) e il 59,2 degli importi liquidati (pari a sei milioni e mezzo di euro). All’interno delle cadute, quella “dall’alto” è la più diffusa: il 42,2 per cento degli eventi, il 49,8 delle giornate perse, il 52,5 degli importi liquidati.
La ricerca, poi, si concentra direttamente sugli infortuni, e qui il periodo di riferimento diventa il 2011. In quell’anno gli incidenti sono stati 1.002, quindi in sensibile miglioramento rispetto al 2009. La metà di questi (48 per cento) è avvenuta sulle navi passeggeri, la fascia d’età più colpita è quella tra 35 e 49 anni (38,4 per cento dei casi), mentre le qualifiche più a rischio sono quelle di marinaio, mozzo e piccolo.
Tra i tipi di lesione prevalgono contusioni, escoriazioni e abrasioni (37 per cento), seguiti da slogature, distorsioni e lussazioni (18,7) e da fratture, infrazioni e schiacciamenti (16,2). Le parti lese risultano essere anzitutto gli arti inferiori (26,1 per cento), poi mani e dita (20,3), torace, costole e schiena (13,5) e arti superiori (10,2). Infine, le conseguenze degli infortuni (e qui si torna ai dati del 2009, perché serve un triennio dall’accadimento del sinistro per valutare pienamente i danni): sei incidenti sono stati mortali, il 4,6 per cento ha comportato un grado di inabilità tra il 16 e il 100 per cento, il 35,2 un grado di inabilità tra l’1 e il 15 per cento, mentre il restante 59,7 non ha comportato postumi permanenti.
Importante è anche capire le circostanze degli infortuni. Nel 56 per cento dei casi l’evento lesivo è avvenuto durante la navigazione, ossia in mare aperto, mentre nel 40 si è verificato a bordo di una nave in porto. L’attività svolta dalla vittima al momento dell’infortunio (che non necessariamente coincide con la qualifica del lavoratore) è risultata nel 39,8 per cento dei casi come “complementare”, nel 32,7 come attività di produzione, trasformazione, trattamento e magazzinaggio di ogni tipo, mentre nel 13,6 come attività legata alla pesca. La ricerca analizza anche l’azione specifica effettuata al momento dell’infortunio: le due principali sono il movimento compiuto dalla vittima, in primis camminare o salire (66 per cento), e la manipolazione di oggetti da parte della vittima (16), come prendere in mano un utensile oppure allacciare/slegare qualcosa.
Le cadute
Il 50,7 per cento degli infortuni – come si diceva all’inizio – è provocato da cadute. La maggioranza di queste (42,2 per cento) sono dall’alto, seguono le cadute allo stesso livello (36) e quelle da livello non specificato (22). Riguardo quelle dall’alto, la quasi totalità (86 per cento) sono da scale, mentre le restanti sono da sedia o impalcatura. Le cadute dall’alto sono particolarmente frequenti nelle navi passeggeri, nelle unità “da carico” e nei rimorchiatori, e avvengono per diversi motivi: per inciampo su scale o strutture sporgenti (come mastre e cime), per scivolamento su superfici bagnate od oleose, per un piede in fallo durante l’imbarco o lo sbarco dalla nave, per la perdita di equilibrio determinata da improvvise accelerazioni o virate, oppure dal rollio dell’imbarcazione in seguito a un’onda anomala o alle avverse condizioni meteorologiche.
Gli infortuni con cadute dall’alto coinvolgono sempre più parti del corpo. A dimostrarlo è la sede delle lesioni: nel 28,3 per cento dei casi sono coinvolte “parti multiple”, seguono gli arti inferiori (25,4) e superiori (12,9), torace, costole e schiena (9,2) e testa (8,5). Per quanto riguarda gli scivolamenti con cadute allo stesso livello, le parti multiple del corpo sono solo al quarto posto delle lesioni, precedute da arti (inferiori e superiori), torace, costole e schiena. Analizzando, inoltre, la natura delle lesioni dovuta a scivolamento o caduta, si registra che contusioni, slogature e fratture risultano essere le più frequenti, con una netta prevalenza delle contusioni (il 64 per cento nelle cadute dall’alto).
In relazione alle conseguenze degli infortuni derivanti da cadute e scivolamenti, i tre quarti degli eventi lesivi sono senza postumi permanenti o con grado di inabilità permanente compreso tra l’1 e il 5 per cento. Tra quelli che invece hanno comportato postumi permanenti, oltre la metà (52,2 per cento) deriva da cadute dall’alto. Queste, dunque, sono responsabili della maggior parte degli infortuni con postumi di inabilità permanente (a prescindere dalla percentuale); nell’ambito dei casi più gravi, ossia quelli con grado di inabilità superiore al 15 per cento, le cadute dall’alto rappresentano il 67,5 per cento dei casi.
Proposte di miglioramento
La ricerca, nella sezione conclusiva, espone una serie di misure orientate all’incremento della sicurezza per i lavoratori. Da un punto di vista normativo, si suggerisce sia di “implementare ed estendere le procedure sulla valutazione e la gestione dei rischi” sia di mettere mano “al mancato o carente aggiornamento professionale del personale marittimo, oltre alla mancata revisione dei Piani di sicurezza”, che invece dovrebbero essere aggiornati ciclicamente. Grande importanza va data alla formazione, soprattutto quella legata alla gestione di un’emergenza, mediante una continua programmazione di esercitazioni.
Gran parte degli infortuni sono conseguenza dell’utilizzo di indumenti di lavoro non idonei alle attività che venivano svolte in quel momento. Occorre dunque, spiega la ricerca, sensibilizzare i marittimi sull’uso corretto dei dispositivi di protezione individuale, al contempo “intensificando anche i controlli a bordo da parte dei Responsabili alla sicurezza”. È necessario, inoltre, emanare “quanto prima specifiche normative tese a stabilire gli standard minimi cui devono rispondere i dispositivi di protezione individuale utilizzati in campo navale”. Un primo esempio è dato dai giubbotti salvagente: studiati e realizzati per essere indossati in fase di emergenza, oggi vengono usati come comuni dispositivi di protezione individuale, per quanto risultino ingombranti e di intralcio durante le normali attività lavorative, mentre invece andrebbero sostituiti con quelli (molto più agevoli) di tipo gonfiabile. Un secondo esempio è quello delle calzature: di solito si usano quelle comuni per l’industria (con puntale rinforzato e suola antistatica, di tipo resistente alla penetrazione), mentre invece andrebbero utilizzate calzature con un’elevata resistenza allo scivolamento (definite tecnicamente di tipo Sra/Srb/Src).
Da un punto di vista strutturale, la ricerca suggerisce l’adozione di numerosi accorgimenti. Si va dal trattamento antisdrucciolo dei ponti di coperta esposti al mare (ad esempio verniciandoli con pitture ricche di sabbia), all’eliminazione di sporgenze, in fase di progettazione e costruzione, in modo da mantenere libere da ostacoli le zone di passaggio; dalla previsione di specifiche procedure di manutenzione e controllo periodico delle scale, in modo da eliminare l’eventuale presenza di materiali scivolosi (segnalando anche le alzate e il bordo dello scalino), alla costruzione di scale con una inclinazione minore, allo scopo di garantire, soprattutto in discesa, una maggiore superficie di appoggio del piede.