Domani, martedì 7 ottobre, è una giornata cruciale per il mondo del lavoro. Da un lato, va in aula al Senato il ddl delega di riforma del mercato del lavoro, dall'altro c'è l'atteso incontro tra Renzi e Cgil, Cisl e Uil. Ma che cosa diranno i sindacati al  Presidente del Consiglio? "Italia parla", la rubrica quotidiana di Radioarticolo1, lo ha chiesto a Serena Sorrentino, segretaria confederale della Cgil.

"Intanto andremo ad ascoltare quello che Renzi intende dirci – risponde la dirigente sindacale –: è la prima volta che abbiamo l'occasione di incontrarci e dunque vedremo cosa accadrà. Debbo però rilevare che l'ordine del giorno è diverso dai contenuti del Jobs act, perchè nella nostra convocazione il sindacato è inteso come soggetto portatore di interessi specifici che riguardano la dimensione di vita dei lavoratori sui luoghi di lavoro.  Viceversa, noi vogliamo un confronto a 360 gradi sul lavoro, dove si parli di politiche dell'occupazione, di riforma degli ammortizzatori sociali, fino alla revisione delle regole dello Statuto, e ci consideriamo soggetti portatori degli interessi globali dei lavoratori. Dunque, ancora una volta il governo si muove su due piani paralleli, una prassi abituale di questo esecutivo".

"Il Jobs act è stato lanciato inizialmente come una riforma epocale – rileva Sorrentino –, ma poi è stato presentato un testo che crea difficoltà alla stesso partito di maggioranza, non è convidiso da una parte del Parlamento, ed è osteggiato dalle forze sociali e da quelle datoriali. Ora si prospetta la richiesta della fiducia in aula, ma è una forzatura che abbiamo già visto all'epoca della riforma Fornero, con tutti i guai che ne sono derivati".

"Quello che è certo – continua la segretaria confederale Cgil – è che il governo ha una diversa concezione della contrattazione: si parla di introdurre una sperimentazione del salario minimo, ma non si dice bene in che modo nè di quante risorse ci siano a disposizione. Si proclama di rafforzare la contrattazione aziendale, in alternativa però a quella nazionale. E l'ultima trovata è quella sulla riforma dell'assicurazione sociale per l'impiego, la mini Aspi, che in realtà peggiora la precedente indennità, perchè restringe la platea dei lavoratori discontinui aventi diritto: al massimo potrà coprirne altri 178.000 collaboratori a progetto, quelli stessi che Renzi intende abolire. È una contraddizione in termini quella del governo. Noi chiediamo invece una politica attiva di sostegno al reddito dei precari, anche in vista di una loro possibile ricollocazione sul mercato del lavoro".      

"Cancellare poi l'articolo 18 – secondo Sorrentino – significa esporre tutti i lavoratori al ricatto delle imprese, senza dimenticare che già il decreto Poletti in tema di contratti a termine va in quella direzione: al contrario, la proposta Cgil è per una revisione dello Statuto dei lavoratori, che prevede l'allargamento delle tutele a chi ne è sprovvisto. Per Renzi, l'articolo 18 è un po' lo scalpo che vuole portare in Europa in nome di una maggiore flessibilità in entrata e in uscita. Ma queste operazioni in Italia le abbiamo già fatte negli ultimi anni. Quello che manca tuttora è una strategia di politica economica espansiva, improntata alla crescita e accompagnata da una politica complessiva dell'occupazione. Assistiamo invece a un aumento della precarietà, a una liberalizzazione dei licenziamenti, a un indebolimento delle politiche sociali, tutte cose che vanno nella direzione opposta a quella da intraprendere".

"I cassaintegrati in deroga sono stati del tutto dimenticati – denuncia ancora la dirigente Cgil –. Il decreto del governo di agosto ha combiato i requisiti d'accesso e sono diminuiti i fondi a disposizione. Col risultato che la nuova procedura sta producendo ulteriori blocchi e ulteriori ritardi. Il sistema attuale non funziona più e va superato, siamo tutti d'accordo, ma l'alternativa non sono i fondi di solidarietà, perchè non coprono le imprese sotto i 15 dipendenti. Facciamo una riforma vera della cassa integrazione, cominciando con l'estenderla a chi ne è privo".

"Il tema centrale è come noi creiamo maggiore occupazione – precisa Sorrentino –. Intanto per rispondere a quel 44% di disoccupazione giovanile, e poi per eliminare tutte e 46 le forme di precariato presenti nel Paese. Il fine è quello di assicurare una maggiore stabilità contrattuale ai lavoratori, garantendo l'estensione dei diritti, con uno Statuto che sia valido per tutti. Vi sono diritti universali da salvaguardare, a partire dalla parità della retribuzione a parità di lavoro, fino all'estensione delle libertà sindacali e a una legge formale sulla rappresentanza sulla falsariga del Testo unico".

Altro argomento sempre d'attualità in queste settimane, il pubblico, inteso come servizio pubblico e lavoratori pubblici. "In tal senso, la linea percorsa da Renzi, attraverso il ddl di riforma e il decreto Madia, è quella della svalorizzazione del lavoro pubblico, assolutamente identica ai tre governi che l'hanno preceduto – spiega Sorrentino –: assistiamo a interventi che mirano unicamente al contenimento della spesa. Siamo arrivati a meno 8 miliardi in quattro anni destinati alla pubblica amministrazione, pari a 5.000 euro medie perse in busta paga dagli statali. Col risultato che abbiamo una perdita continua del valore delle retribuzioni dei lavoratori, accompagnata da un impoverimento e un restringimento delle prestazioni. Con la campagna nazionale 'Riformo io' la Cgil propone una diversa idea di riforma della pa, che salvaguardi in primis il diritto alla salute e all'istruzione e punti al rilancio di tutti quei servizi indispensabili per lo sviluppo del Paese, oltre logicamente alla tutela del lavoro pubblico".

E sull'ultima idea in ordine di tempo di Renzi, ovvero l'anticipazione del Tfr in busta paga? "Anche qui l'atteggiamento del governo è contradditorio – conclude Sorrentino –: all'inizio ha detto: il provvedimento riguarda tutti i lavoratori; ora invece si prospetta una differenziazione tra gli aventi diritto, con i dipendenti pubblici esclusi. E la scelta poi sarebbe libera per ciascuno se trattenere il proprio Tfr, che, ricordiamo, è salario differito dei lavoratori, in busta paga o farlo confluire nei rispettivi fondi pensione. Così come per gli 80 euro, che sono serviti nella stragrande maggioranza dei casi a sanare i debiti pregressi delle famiglie, l'effetto di tale operazione sulla domanda e sui consumi è complicato da stabilire a priori".