Ei fu. La mattina del 5 maggio 2017 un'enorme e densa colonna di fumo nero si è alzata dal rogo del capannone della Eco X di Pomezia; l’azione dei venti ha portato l’acre odore di plastica bruciata ed il fumo a diversi chilometri di distanza, in direzione est-sud-est a terra, sud-est in quota. La nube è arrivata fin nei comuni dei Castelli romani, nella zona sud di Roma, verso il Frusinate e l’agro pontino, colpendo un’area in cui vivono e lavorano oltre duecentomila persone.

Nel capannone e fuori dal capannone erano ammucchiate enormi quantità di balle di plastica. L’azienda si definisce “impresa di raccolta e smaltimento di rifiuti industriali e speciali”. Più che smaltimento si accumulavano rifiuti, tanti da invadere il piazzale esterno ed ostacolare le manovre dei mezzi dei vigili del fuoco. La polizia urbana di Pomezia ha dovuto affrontare il caos del traffico inizialmente dotata di mascherine antipolvere, inutili contro le polveri sottili e gli altri inquinanti. Lo spegnimento del rogo ha richiesto il lavoro di decine di vigili per quattro giorni. Il 17 maggio un nuovo focolaio per autocombustione si è riacceso all’interno dell’area, che si trova ancora oggi in totale stato di abbandono. L’impianto è sequestrato e sono stati apposti i nastrini di plastica, ma è completamente aperto ed accessibile a chiunque.

Nei mesi precedenti il comitato di quartiere aveva segnalato al Comune ed alla Polizia Locale, con lettera protocollata, il disagio e la preoccupazione dei residenti per l’eccessivo accumulo di rifiuti all’esterno. Nessun controllo era stato effettuato: dopo il disastro Comune e ASL hanno polemizzato rimpallandosi le responsabilità. L’azienda pare non avesse dispositivi antincendio, sebbene fosse stata sanzionata per questo motivo nel 2012. Sarà difficile accertarlo ora che il fuoco ha distrutto l’edificio. Alla Eco X lavorano, o per meglio dire lavoravano, una decina di operai, per lo più stranieri, e non era sindacalizzata.

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Il danno ambientale
L’aspetto più preoccupante è l’opacità sulla natura dei “rifiuti industriali e speciali” contenuti nella Eco X. Dal racconto dei Vigili del fuoco è emerso che, oltre alle balle di plastica, erano stoccati ferro, filtri dell’olio ed una grande quantità di materiale cine-fotografico che contiene agenti chimici. È stato inoltre accertato che il tetto conteneva amianto incapsulato. L’incapsulamento è una tecnica di bonifica, meno costosa della rimozione, che evita la dispersione delle particelle di amianto nell'aria. Durante un incendio i materiali di incapsulamento vengono distrutti, mentre l'amianto è ignifugo, indistruttibile e si disperde nell’aria, depositandosi al suolo con lentezza. Accertata la presenza di amianto, la procura di Velletri ha aperto un’inchiesta.

In sintesi, non è catastrofismo ma realismo affermare che si sono riversati nell’area circostante inquinanti quali diossine, Pm10, Pbc, benzopirene in quantità molto superiori alla norma, rilevati dall’Arpa nei primi giorni. Inoltre la grande quantità di acqua usata dai Vigili del fuoco per spegnere l’incendio ha disperso nel terreno gli inquinanti, con i rischi connessi di contaminazione delle falde acquifere. Già nel 2016 uno rapporto stilato da un gruppo di lavoro Arpa-Asl-Istituzioni rilevava nella zona di Pomezia e Ardea la contaminazione delle acque “riconducibile ad attività pregresse e plausibilmente da smaltimenti illeciti di reflui e rifiuti.Sebbene nei giorni seguenti la qualità dell’aria sia fortunatamente migliorata per la precipitazione degli agenti inquinanti, tuttavia questi non svaniscono nel nulla. L’ottimismo sull’assenza di rischi per la popolazione affermato dalla ministra Lorenzin, recatasi in rapida gita sul sito della Eco X il 16 maggio scorso, trova scarso fondamento.

Il contesto del disastro
Il territorio di Pomezia, il confine nord alle porte di Roma di quella che fu la Cassa del Mezzogiorno, oggi soffre per la crisi industriale e manifatturiera. A fianco di attività autorizzate di stoccaggio di rifiuti come la Eco X, che nessuno però controlla, nel centro-sud del Lazio si trovano capannoni ed edifici industriali abbandonati che si prestano per lo stoccaggio illegale di rifiuti solidi e pericolosi, su cui prosperano le cosiddette eco-mafie. Proprio a Pomezia nel gennaio scorso era stata scoperta una discarica abusiva in 5000 mq di capannoni agricoli abbandonati. Appena un anno fa scoppiò un incendio nell’impianto Tmb di Roncigliano ad Albano, sollevando una grande nube nera. Non si tratta, quindi, di casi isolati ma dell’emersione occasionale di una situazione ambientale endemica di potenziale pericolo in cui basta un innesco, magari doloso, per esplodere in tutta la sua nocività.

Pochi giorni fa è andato a fuoco un capannone di rifiuti nella discarica di Malagrotta, tre roghi in un mese nei pressi di Roma. Il Lazio sta rischiando di trasformarsi in una nuova terra dei fuochi, anche sul fronte del malaffare legato alla gestione dei rifiuti. A questo si aggiunge il grave ritardo nella bonifica dell’amianto della regione Lazio. Un progetto di mappatura del 2013 ha dato scarsi risultati; i comuni hanno risposto poco al censimento ed è iniziata una mappatura sperimentale con i droni, ma si è analizzato solo il 12% del territorio. Con il degrado degli edifici industriali la situazione diventa ancora più pericolosa ed occorrerebbe bonificare con maggiore rapidità, mentre al contrario ci si trascina nell’inerzia. Pomezia è uno tra i comuni del Lazio con più casi di mesotelioma maligno, il tumore provocato dall’inalazione della fibra di amianto.

La Cgil per la tutela della salute e sicurezza
La Camera del Lavoro territoriale e la Cgil regionale l’8 maggio hanno congiuntamente chiesto al Comune e alla Regione di fare chiarezza. Il giorno successivo, il 9 maggio, la Camera del lavoro territoriale ha chiesto un incontro al sindaco di Pomezia, richiesta a tutt’oggi ignorata. La Cgil regionale, il 12 maggio, ha rinnovato l’invito al sindaco di Pomezia coinvolgendo anche la Regione Lazio e la sindaca di Roma, senza avere risposta. Gli amministratori locali preferiscono polemizzare tra loro o minimizzare, piuttosto che confrontarsi con le parti sociali e dare risposte concrete ai cittadini.

Ancora, in un comunicato del 20 maggio, la Camera del lavoro Roma Sud Pomezia Castelli ha denunciato lo stato di degrado e abbandono del sito Eco X ed il rischio, se non si provvederà alla bonifica in tempi rapidi, di nuovi incendi per autocombustione. Come da copione, già si prefigura lo scenario di omertà, opacità, minimizzazione del danno, insabbiamenti e lungaggini che seguono ogni disastro italiano, ma questo non ci può scoraggiare nel continuare ad incalzare chi ha la responsabilità della salute dei cittadini, in primo luogo la regione Lazio.

Il ruolo delle Rls e delle Rlst
La tutela della salute e della sicurezza nel territorio è strettamente legata alla tutela nei posti di lavoro e deve collocarsi tra le priorità della Cgil, nel rispetto e rivendicazione dell’articolo 9 della legge 300/70 e del TU 81/08. In questo ambito è fondamentale valorizzare il ruolo delle RLS, che subito si sono mosse nel disastro di Pomezia, per incalzare le aziende, spesso recalcitranti, ad attuare gli interventi di protezione della qualità dell’aria nei luoghi di lavoro. Al fianco delle RSL aziendali sarebbe preziosa l’opera delle Rlst territoriali; in particolare queste ultime andrebbero sostenute dedicando loro maggior attenzione e risorse.

Un nostro vecchio slogan diceva “la salute non si vende, ma in tempi di grave crisi occupazionale ben sappiamo che salute e sicurezza vengono talvolta monetizzate o trascurate del tutto. Eppure non sono qualcosa di accessorio alla contrattazione, sono una parte importante quanto il salario. Non possiamo più permetterci di trascurare lo stato preoccupante del nostro ambiente dentro e fuori i posti lavoro, un lavoro che sta cambiando, sempre più decentrato, un lavoro che esce dall’azienda e dalla fabbrica e torna nel territorio.

Agnese Palma è segretaria della Fisac Cgil Roma Sud Pomezia Castelli