Autoproduzione, questo è il problema. Ossia la scelta degli armatori di gestire in proprio le attività portuali (come il carico e scarico merci), quindi con il proprio personale navigante, attività che sono invece di competenza delle maestranze qualificate che operano all'interno degli scali. Una scelta che punta a ridurre i posti di lavoro e che crea enormi problemi di sicurezza agli stessi lavoratori, su cui i sindacati hanno da tempo lanciato una dura vertenza. Una rivendicazione che oggi (venerdì 11 maggio) culmina in uno sciopero nazionale di 24 ore, con presìdi e manifestazioni in tutta Italia, indetto da Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti per contrastare la sostanziale deregulation delle autorizzazioni del lavoro nelle operazioni marittime e portuali.

I sindacati denunciano la “totale indifferenza delle istituzioni sulle richieste d’incontro in merito alle violazioni della normativa del settore”. Sotto accusa, appunto, sono “i molti episodi di autoproduzione di operazioni portuali, a dispetto di quanto previsto in merito dalla legge 84/1994 sui porti, che denotano grandi responsabilità delle Autorità di sistema portuale”. L’Autorità infatti, sulla base della legge 84, è l’ente che autorizza formalmente le imprese “di terra” a svolgere queste operazioni, previo coinvolgimento della Capitaneria di porto. Sempre a proposito delle Autorità di sistema portuale, Filt, Fit e Uiltrasporti ne evidenziano “lo svilimento del ruolo di regolazione sul mercato del lavoro e delle imprese, oltre a un'interpretazione autoreferenziale del modello di rappresentanza sociale degli organismi previsti dalla legge”.

Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti rimarcano anche “l'assenza pressoché totale in molti porti della vigilanza sulla sicurezza del lavoro, disapplicando anche previsioni contrattuali sui protocolli”. Secondo le organizzazioni dei lavoratori, dunque, negli scali italiani si sta creando “una situazione da cui è indispensabile uscire, altrimenti si corre il serio rischio di aggravare le relazioni sindacali con la conseguente intensificazione delle iniziative di protesta”. Una situazione che “va nella direzione opposta allo sviluppo economico e occupazionale dei porti, dello shipping nazionale e a quanto contemplato dalla normativa vigente”.

Facciamo un passo indietro, andando al 22 febbraio scorso. Quel giorno la Federazione internazionale dei lavoratori dei trasporti e la Joint negotiating group (che rappresenta i datori di lavoro internazionali) firmano un accordo che stabilisce che le operazioni portuali (ad esempio il rizzaggio, ossia l’insieme di manovre eseguite per legare o slegare i carichi trasportati dalla nave) vanno effettuate dai lavoratori portuali. L'autoproduzione, spiegano i sindacati, può essere “eccezionalmente autorizzata di volta in volta, unicamente se non c'è alcuna organizzazione a terra incaricata di effettuare operazioni portuali e solo in presenza di navi dotate di mezzi adeguati alle operazioni da svolgere. Il personale della nave deve essere esclusivamente dedicato all'esercizio di tali operazioni, assunto con libretto di navigazione e aggiunto in sovrannumero rispetto al personale previsto in tabella d'armamento”.

Oltre a tutto ciò, i singoli casi di autoproduzione debbono comunque avvenire con l'accordo delle organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori. Ebbene, sottolineano i sindacati, nonostante quest’accordo “si sono registrati in alcuni porti italiani, in particolare in quelli siciliani, gravi violazioni di queste regole da parte di compagnie di navigazione che hanno anche annunciato il totale ricorso all'autoproduzione”. Riguardo alla Sicilia, i sindacati dell’isola evidenziano che “da anni le compagnie armatoriali usano l'autoproduzione come strumento di ricatto. L’obiettivo è ottenere ribassi sui servizi, un atteggiamento scorretto se si considerano i capitolati d'appalto milionari dove si prevedono anche i costi operativi di questi servizi. Non possiamo tollerare il comportamento provocatorio e disfattista delle compagnie che, in assenza di un controllo, ritengono di poter agire non rispettando le normative”.

La pratica dell'autoproduzione, precisano i sindacati, provoca due ricadute gravissime. Il primo è la riduzione dei posti di lavoro, perché “il personale della nave svolge più mansioni, anche diminuendo i tempi di riposo e di manutenzione, il tutto a scapito dei lavoratori dei porti”. Il secondo, concludono Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti, è relativo alla sicurezza, perché “il personale della nave non è formato per eseguire operazioni d'imbarco e sbarco, e gli ultimi gravi incidenti sul lavoro, anche mortali, dimostrano quanto sia rischioso il mestiere del portuale”.