Quella in atto alla Nestlè Perugina non è una normale vertenza sindacale. Anzi, secondo la multinazionale svizzera la vertenza proprio non c’è e servono invece “serenità e concentrazione per affrontare con successo la stagione produttiva che sta per aprirsi”. Eppure, la Rsu della storica fabbrica di cioccolato e dolciumi, con sede a San Sisto, alle porte di Perugia, non è affatto “serena” e continua, ormai da mesi, a denunciare il rischio di un pesante arretramento.

Gli operai – a sottolineare come le parti in questa vicenda sembrino essersi quasi invertite – hanno pure presentato un “piano industriale” per il rilancio della loro fabbrica. Perché – dicono – se è vero che attualmente c’è un contratto di solidarietà che mette al riparo da possibili licenziamenti (scadrà a settembre 2016), è altrettanto chiaro che, senza un’inversione di tendenza, i nodi verranno presto al pettine.

E i nodi – secondo la Rsu – sono ben evidenti, se si legge l’andamento produttivo dello stabilimento: nel 2015 la produzione si fermerà a circa 24.500 tonnellate, dato più basso di sempre per la fabbrica umbra. E se cala la produzione, cala l’occupazione, tanto che sono circa 210 gli esuberi già dichiarati da Nestlè (su poco più di 800 dipendenti), anche se attualmente gestiti con la solidarietà.

Sì, ma poi? Che succede fra un anno? Questa è la domanda che con insistenza, per ora senza esito, la Rsu, i sindacati e pure le istituzioni, pongono alla multinazionale svizzera. Nei giorni scorsi se ne è discusso anche in Parlamento, dopo una serie di interrogazioni al governo arrivate da più parti (M5S, Pd, Scelta Civica). La risposta dell’esecutivo è stata che “la fase è molto delicata e complessa” e che è stato “avviato un confronto con i vertici della Nestlé italiana Spa”, confronto “prodromico all’apertura, ove richiesta, di un tavolo di confronto con le parti”.

nel 2015 la produzione si fermerà a circa 24.500 tonnellate, dato più basso di sempre per la fabbrica umbra

Il tavolo probabilmente si farà, lo ha ribadito di recente anche la presidente della Regione Umbria Catiuscia Marini: “Il confronto a livello nazionale – ha detto – è necessario, perché la nostra preoccupazione è legata all’idea che Nestlè sia molto concentrata a rilanciare il ‘Bacio’ a livello internazionale (la multinazionale insiste molto sulla vetrina di Expò, ndr), ma voglia rilegare solo a questo e alle tavolette lo stabilimento di San Sisto, portando gradualmente alla chiusura degli altri reparti”.

Ed eccoci al centro della questione, dove si gioca la vera sfida. “La Perugina non vive di soli Baci”, titolava giorni fa il Corriere dell’Umbria. Concetto che la Rsu di San Sisto e i sindacati vanno ripetendo con insistenza da mesi: il ‘Bacio’ resta il prodotto di punta, è chiaro, ma bisogna rilanciare anche le altre produzioni, quelle in grado di garantire la cosiddetta “contro stagionalità”, cioè la copertura dei periodi dell’anno in cui il cioccolato non si fa.

Per fare questo, le idee lanciate dagli operai sono molte: prima di tutto investire sulle caramelle (le ‘Rossana’ e gli ‘Spicchi’), altro fiore all’occhiello della tradizione Perugina, che oggi reggono sul mercato anche senza un minimo di pubblicità. Poi, investire di più nel modellaggio e nella confiserie e, perché no, aprire a produzioni nuove, come quella del caffè in cialde, in grande espansione in Italia.

“Esistono tutte le condizioni industriali e di mercato affinché si possa disegnare un nuovo futuro per la nostra fabbrica – afferma Luca Turcheria, coordinatore della Rsu di San Sisto –, ci manca però quel ‘pezzettino’ che attiene alla controparte e cioè la volontà di proseguire in maniera sostanziale la storia dello stabilimento di San Sisto. La nostra intenzione è quella di convincere la multinazionale a farlo e per questo abbiamo aperto noi per primi una vertenza, senza aspettare che sia la vertenza a caderci in testa, rischiando di farci davvero molto male”.