Cambiare il cemento è necessario: occorre rilanciare il settore, attraverso un nuovo modello basato sul rispetto dell’ambiente e sulla valorizzazione del territorio. Innovazione, sostenibilità ed economia circolare possono essere i perni di questa nuova fase. Sono i temi al centro del convegno dal titolo "4.0 Time for Change. Un nuovo ciclo del cemento è possibile?", organizzato dai sindacati delle costruzioni di Cgil, Cisl e Uil stamani (giovedì 11 maggio) a Roma, al centro congressi Frentani, presenti, tra gli altri, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti e la sottosegretaria all'Ambiente Silvia Velo.

Cambiare è una necessità improrogabile, dopo la lunga crisi che il settore ha subito con il crollo dell’edilizia, che ancora non ha smaltito i suoi effetti negativi. Così il segretario nazionale della Fillea, Gianni Fiorucci, chiamato a introdurre la giornata. “Il settore è in piena tempesta da otto anni – dice –, ora occorre tracciare una nuova rotta, dove tutti gli attori, istituzioni e parti sociali, condividano proposte concrete per portare il settore fuori dalla crisi dando vita ad nuovo ciclo del cemento”. Fase, come detto, che sia all'insegna “dell’innovazione e della sostenibilità, attraverso un modello di economia circolare, non solo come soluzione al problema, ma anche come opportunità di sviluppo generale”.

Lo scenario del comparto è desolante: continua a calare la produzione nel mondo, anche se in Europa nel 2015 per la prima volta si è tornati al segno positivo, con un debole +0,9%, mentre in Italia si conferma un calo superiore alla media mondiale. I numeri parlano chiaro: dai 47 milioni di tonnellate prodotte nel 2008 siamo passati a 19 del 2015. Una capacità produttiva dunque “doppia rispetto alla richiesta del mercato – prosegue Fiorucci – e quindi gli stabilimenti marciano nella media del 60%, nonostante siano già molte le unità produttive che hanno fermato definitivamente la produzione a ciclo completo”. Con effetti drammatici sull’assetto dei siti produttivi: “Alcune cementerie sono diventate centri di macinazione, altre sono state chiuse, mentre il 18% dei lavoratori è uscito dal settore con pensionamenti, incentivi, ricollocazioni, licenziamenti e molti altri lavoratori sono in cassa integrazione e rischiano il posto di lavoro”.

È proprio la crisi che ha favorito un profondo cambiamento della geografia mondiale del settore. “Al netto dell’acquisizione di Italcementi da parte di Heidelberg – osserva ancora Fiorucci –, il resto dei produttori sono tutti italiani e finora stanno tenendo, nonostante le difficoltà, proprio grazie alle operazioni di  internazionalizzazione costruite prima della crisi (Buzzi Unicem, Colacem e Cementir/Sacci)  ed ai buoni risultati esteri, che hanno coperto le perdite nel mercato interno”.

La situazione attuale non è più sostenibile, secondo i sindacati. “Sentiamo parlare di ulteriori scelte di razionalizzazione, con ripercussioni negative sui livelli occupazionali, per questo occorre fare presto ed intervenire per orientare i processi in atto”. Finora la maggioranza delle ristrutturazioni è avvenuta, "a parte un solo caso, con percorsi condivisi e con minime ripercussioni sociali, pensiamo al piano sociale di Italcementi", ora serve il sostegno delle istituzioni a tutti i livelli.

Per programmare il futuro del cemento occorre seguire tre linee di intervento: il rilancio delle costruzioni come leva di sviluppo del settore e dell’economia in generale; una politica industriale a difesa del sistema produttivo cementiero italiano che spinga le imprese ad investire in ricerca e innovazione; la definizione per il settore dello stato di “crisi complessa”, con l’attivazione di politiche del lavoro attive e passive che accompagnino meglio i processi di rilancio, riconversione,  riorganizzazione e gestione degli esuberi. Creare nuova domanda e nuovo mercato è possibile: “Dopo l’acqua, il cemento è il secondo materiale più usato al mondo, è una componente fondamentale delle opere pubbliche, un anello importante della filiera delle costruzioni e settore strategico per il paese. Nei prossimi anni avremo ancora bisogno di questo materiale e avremo sicuramente bisogno di costruire”, ma non di “divorare suolo e alimentare speculazione fine a se stessa”.

Un ciclo che rispetti il territorio, in sostanza, si può realizzare con un sistema di trasporti (preferibilmente su ferro) e piattaforme logistiche efficienti, il recupero, le ristrutturazioni, la riqualificazione urbana, l'efficienza energetica del patrimonio, la messa in sicurezza dai rischi sismici ed idrogeologi. Obiettivi che – per il sindacato – chiedono “investimenti veri e tempi certi di realizzazione. Un grande piano di ammodernamento e messa in sicurezza del paese che non può prescindere dalla qualità della materia prima, il cemento,  e dalla qualità dell’impresa e del lavoro”.

“Se la sfida è ricostruire il Paese – si chiede Fiorucci – possiamo permetterci di indebolire l’industria italiana del cemento? Possiamo correre il rischio che il cemento, cioè il materiale principale che ci servirà per questo grande investimento nel futuro, possa non essere più prodotto e controllato in Italia o da aziende italiane?”.

Per cambiare davvero serve l'impegno di tutti, “in primo luogo delle aziende che devono fare la loro parte, continuando ad investire in ricerca e innovazione agganciando le opportunità offerte da Industria 4.0 dei super ammortamenti”. Bisogna ripensare cave e miniere a minore impatto possibile, utilizzare combustibili alternativi. Il governo deve riconoscere il settore come strategico e prevedere strumenti straordinari: tra questi “luoghi di confronto istituzionale  sui piani industriali delle aziende, affinché siano coerenti con gli interessi del paese e  rispettosi dei principi di responsabilità sociale d’impresa. Tali percorsi sono da attivare in particolare per quei siti chiusi o  in via di dismissione, promuovendo tutte le iniziative in rapporto con il territorio, necessarie alla riconversione produttiva e alla rioccupazione dei lavoratori”.

Dall'esecutivo serve "un’azione coordinata a livello nazionale per le politiche attive di ricollocamento, attraverso una formazione mirata ed efficace e un supporto della task force di nuova costituzione dell’Anpal sulle ristrutturazioni, riorganizzazioni aziendali e gestione di personale in eccedenza”, conclude Fiorucci, chiedendo un tavolo permanente di confronto interministeriale tra ministero dello Sviluppo, Lavoro e Ambiente, con l'obiettivo di affrontare la questione complessiva, la difesa del lavoro e il rilancio dell'occupazione.