Il Patronato Inca è stato invitato lo scorso 1° febbraio a un'audizione presso l'XI Commissione lavoro-previdenza della Camera dal titolo "Indagine conoscitiva in termini di genere della normativa previdenziale e sulle disparità esistenti in materia di trattamenti pensionistici tra uomini e donne". 

Abbiamo illustrato ai parlamentari le nostre proposte, condivise unitariamente dai Patronati del Cepa, e abbiamo depositato il nostro documento, visibile sul sito della Camera. È risaputo che le pensioni sono lo specchio della vita lavorativa delle persone e le carriere più discontinue e precarie che caratterizzano le donne italiane producono un differenziale retributivo di genere che si attesta intorno al 30%. Le difficoltà di conciliare la cura con la partecipazione al mercato del lavoro producono fenomeni di povertà per le donne che spesso, si trovano addirittura nell'impossibilità di maturare gli anni di contribuzione necessari per ottenere l'agognato assegno previdenziale. Il segnale peggiore è rappresentato dal fatto che queste disparità si stanno consolidando ed estendendo, come linea tendenziale. 

Se il sistema non sarà corretto la già scarsa equità del presente si aggraverà in futuro. Al Presidente della XI Commissione, l'Onorevole Cesare Damiano, abbiamo rappresentato le criticità che, secondo noi, devono essere eliminate. Partiamo dal sistema contributivo introdotto in Italia dal 1° gennaio 1996 e che oggi, dopo vari rimaneggiamenti, in particolare quelli derivanti dalla legge Monti/Fornero del 2012, è stato snaturato nei suoi principi generali. Le principali criticità sono rappresentate dall'importo soglia necessaria per l'accesso alla pensione di vecchiaia stabilita in 1,5 volte l'importo del l'assegno sociale (circa 800 euro); chi non lo raggiunge è costretto a lavorare fino a 70anni e 7 mesi. Un altro “importo soglia”, pari a 2,8 l'assegno sociale (circa 1.400 euro) è richiesto per andare in pensione a 63 anni di età, con venti anni di contribuzione.

Appare chiaro che queste due misure rappresentano una strozzatura, in modo particolare per le donne, che hanno in media retribuzioni più basse e carriere più discontinue e difficilmente riescono a raggiungere gli importi-soglia richiesti. Inoltre, le donne che versano i contributi nella gestione separata dell'Inps, perché sono lavoratrici parasubordinate, collaboratrici o professioniste, godono di inferiori tutele rispetto alla maternità, al principio di automaticità della prestazione e, in genere, per il lavoro di cura svolto a supporto di coloro che  non sono  autosufficienti  o portatori di handicap; anche questa disparità va velocemente corretta.

Infine, nel sistema contributivo manca qualsiasi elemento solidaristico, come per esempio, la possibilità di integrare, da parte dell'Inps, le pensioni particolarmente basse all'importo del trattamento minimo. Questa mancanza di solidarietà, che un sistema previdenziale pubblico dovrebbe sempre garantire, cristallizza situazioni di grave povertà, spesso ricadendo su donne e minori.

Una problema generale del sistema italiano, quindi, non ascrivibile solo al contributivo e che richiede un'attenta riflessione, è il meccanismo costante e periodico dell'incremento dell'aspettativa di vita per tutti i tipi di pensione, senza tenere in considerazione che i lavori non sono tutti uguali e che ci sono professioni particolarmente nocive e gravose che, in particolare quelle svolte dalle donne, non sono mai state giudicate meritevoli di attenzione. 

Ci chiediamo, per fare un esempio, come è possibile che una donna a 67 anni possa ancora occuparsi dei bimbi all'asilo nido? Naturalmente, questo è un problema che riguarda anche gli uomini e che va risolto per tutti. Ricordiamo anche il problema dell'estrema rigidità del nostro attuale sistema, di cui si discute da molto tempo, che potrebbe avere tante soluzioni come, ad esempio, reintrodurre un tetto agli anni di contributi necessari per andare in pensione senza legarli all'età. Ci sono proposte di legge che chiedono di introdurre il limite di 41 anni di contributi, raggiunto il quale si può andare in pensione "senza se e senza ma". 

Infine, per poter consentire alle donne i raggiungere i requisiti contributivi bisogna riconoscere loro il lavoro di cura che svolgono sia in costanza di rapporto di lavoro sia in assenza, perché è un'attività importante che sopperisce alla mancanza dei necessari servizi sociali diffusi sul territorio per i bambini, gli anziani e le persone non autosufficienti. Se le nostre proposte venissero introdotte il sistema previdenziale italiano ritroverebbe equilibrio ed equità, non solo per loro, ma per tutti i lavoratori. 

Si dice che il grado di democrazia di un paese si misura da come vivono e vengono considerate le donne; se questo è vero, in Italia abbiamo ancora tanta strada da percorrere.

*Fulvia Colombini è membro della presidenza Inca Cgil