Angelo Fuggiano operaio in appalto all'Ilva è solo l'ultimo in ordine cronologico. È morto sotto una gru, colpito da un cavo saltato durante le operazioni di manutenzione del macchinario. Prima di lui era toccato a Dragan Zekic, operaio di 56 anni, anche lui al lavoro, in appalto, presso il porto di La Spezia e anche lui morto sotto una gru, schiacciato da una enorme lastra di metallo e cemento sganciatasi dal supporto. La dinamica dell'incidente di Padova, dove 4 operai, dei quali due di una ditta in appalto, sono stati investiti da un getto di acciaio fuso, richiama invece alla mente la tragedia della Thyssen di Torino. Così come sembra un film tragicamente già visto mille volte il terribile incidente alla Lamina di Milano dello scorso gennaio: 4 operai morti intossicati in un ambiente chiuso, per colpa di un gas letale, l'argon, nel disperato tentativo di salvarsi l'un l'altro.

Le statistiche dicono che gli infortuni sul lavoro, quelli mortali in particolare, sono in aumento. Nel periodo gennaio-marzo 2018 (ultimo dato disponibile) sono state 212 le morti sul lavoro denunciate all'Inail, l’11,58% in più rispetto allo stesso periodo del 2017. Un'altra fonte, l'Osservatorio indipendente di Bologna, conta invece oltre 450 vittime dall'inizio dell'anno ad oggi, 18 maggio. Ma anche allargando l'analisi ad un periodo più ampio, il fenomeno non esce ridimensionato, come pure alcuni osservatori tendono a suggerire. Se, infatti, il numero assoluto di morti e infortuni sul lavoro degli ultimi anni è più basso rispetto a quello di un decennio fa, va tenuto certamente conto degli effetti dirompenti che la crisi economica ha prodotto, non tanto sul numero di occupati, quanto sulle ore effettivamente lavorate.


Fonte: lavoce.info

In ogni, caso, per quanto li si tratti con cautela, i numeri da soli non consentono di capire quello che sta succedendo nel paese, e quindi di cercare soluzioni, risposte e contromisure. Di questo è convinto ad esempio Gino Rubini, creatore ed editor del portale informativo Diario per la prevenzione, già responsabile del Dipartimento Salute e Sicurezza della Cgil Emilia Romagna: “Al di là dei numeri – dice Rubini – quello che servirebbe è un'analisi approfondita delle tipologie degli infortuni, delle dinamiche, che molto spesso ricorrono e si ripetono. Per esempio – continua – una siviera che si ribalta, come è successo a Padova, è un incidente di una gravità eccezionale, perché indica una mancanza di manutenzione o comunque qualcosa che non ha funzionato”.

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Per Rubini quello che servirebbe dunque è uno studio accurato per tipologie di incidente: “Andrebbero fatte ricerche con un campionamento molto preciso – dice - soprattutto nei settori a maggiore rischio e in quelle aziende, purtroppo la maggioranza, a basso valore aggiunto, dove la competizione si gioca sul costo del lavoro”. E a chi fa notare che comunque nel lungo periodo l'andamento del fenomeno infortunistico sarebbe in calo, Rubini risponde che fare raffronti tra periodi diversi e lontani non ha alcun senso: “È evidente che ci sono fasi, come quella attuale, in cui il cambiamento tecnologico o quello sociale stravolgono completamente lo scenario. Tanto è vero – osserva – che anche l'Inail oggi non registra molti infortuni che avvengono in settori scoperti, come quello dei riders di Foodora, per esempio”.

Senza alcuna pretesa di rispondere all'esigenza posta da Rubini, una prima analisi sulle caratteristiche degli infortuni sul lavoro che avvengono in Italia può essere fatta attraverso la suddivisione per settore economico degli episodi denunciati, che viene effettuata dall'Inail. Se ne ricava prima di tutto un dato forse sorprendente: il settore con il più alto numero di infortuni è il “commercio all'ingrosso e al dettaglio” (che comprende anche riparazioni di auto e moto), seguito da “trasporto e magazzinaggio” e poi dalle “costruzioni”. Questi tre settori da soli nel 2016 hanno contato oltre 100mila infortuni denunciati all'Inail. Per quanto riguarda invece il manifatturiero, il maggior numero di episodi si registra nella “fabbricazione di prodotti di metallo” (17mila denunce nel 2016). Da segnalare, poi, che ben il 25% degli infortuni rientrano nella categoria “non determinato”, quindi per un incidente su quattro non si conosce il settore economico di appartenenza.

Il discorso cambia naturalmente se si guarda ai soli infortuni mortali. Qui, in cima alla lista ritroviamo settori “classici” come le costruzioni (150 morti nel 2016), il manifatturiero nel suo insieme (117 morti) e il trasporto-magazzinaggio (107 morti). “Il fatto è che esistono delle dinamiche archetipiche di infortunio mortale, pensiamo alle morti per schiacciamento o a quelle negli ambienti confinati, come alla Lamina di Milano. Dinamiche che si ripetono da decenni e che avremmo dovuto consegnare alla storia, ma purtroppo è evidente che, anche laddove esistono normative precise, come nel caso degli ambienti confinati, le pratiche troppo spesso sfuggono a regole e prescrizioni”. A parlare è Anna Maria Di Giammarco, presidente dello Snop, la Società nazionale degli operatori della prevenzione. Una prevenzione che però è oggi “senza ossigeno”, spiega Di Giammarco, proprio come silos e serbatoi nei quali i lavoratori muoiono soffocati.

“C'è un enorme problema di definanziamento della prevenzione, che è la prima vittima dei tagli al servizio sanitario nazionale – spiega la presidente dello Snop - E questo ricade non solo sul sistema dei controlli, dove è forte il rischio di un mancato passaggio di competenze tra generazioni, vista l'assenza di assunzioni, ma soprattutto sulla capacità di supporto e assistenza pubblica in tema di prevenzione, in particolare nelle aziende più piccole, che sono la stragrande maggioranza nel paese”.

Più in generale, lo Snop segnala un grave problema di governance dell'interno sistema della prevenzione. Secondo Roberto Calisti, direttore dello Spsal (Servizio prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro) dell'Asur Marche 3, “il governo (che prima o poi dovremo avere) dovrà dire che ne pensa, chiarire cosa faranno il ministero del Lavoro e il ministero della Salute, cosa farà l'Inail, cosa farà lo Stato centrale e cosa faranno le Regioni e le Province autonome; si dovrà decidere quanto investire in prevenzione; si dovrà decidere quante persone si occuperanno di prevenzione occupazionale, in forza di quale percorso formativo ed entro quale organizzazione lo faranno. Il non esprimere una strategia e un programma di impegni concreti – conclude Calisti - sarà l'espressione di una decisione inequivocabile, seppure non espressamente dichiarata”.

Manca una strategia, insomma, una visione d'insieme che vada al di là del mero conteggio delle vittime e dell'emotività data dai fatti più tragici. Lo si vede anche da un altro fenomeno che negli ultimi anni si sta aggravando sempre più, quello degli incidenti sul lavoro che hanno come vittime le persone anziane. Nel 2012 gli infortuni tra gli over 60 conteggiati dall'Inail erano 32.625, poi cresciuti di anno in anno, fino ad arrivare nel 2016 a quota 43.500, con un incremento di oltre il 30%.

Un dato che non stupisce gli addetti ai lavori. “È un chiaro effetto della Fornero”, osserva Gino Rubini. “Ci sono più anziani al lavoro e gli anziani hanno più problemi, ovviamente, per questo servirebbe un adattamento, che però non è stato pensato”. “Abbiamo attività, compiti e lavori progettati per l'uomo (maschio) di età media, peso medio, forza media, etc. – aggiunge Anna Maria Di Giammarco – ed è chiaro quindi che quando si è fuori da quella categoria standard (il che molto spesso vale anche per le donne, o per i giovani appena entrati al lavoro) la capacità di adeguarsi, una capacità biologica e anche ergonomica, viene meno. L'obiettivo dunque – conclude Di Giammarco – dovrebbe essere quello di adattare il lavoro all'uomo e alla donna, puntando la massima attenzione ai profondi cambiamenti ai quali oggi assistiamo, cambiamenti che incidono profondamente sulla salute e sulla vita delle persone”.