In Brasile sta per alzarsi il sipario sulla Coppa del Mondo di Calcio. Tuttavia il fischio di inizio dell'evento è risuonato un anno fa, quando i primi manifestanti hanno cominciato a riempire le piazze del Paese rivendicando una migliore qualità della scuola, della sanità pubblica, dei trasporti, chiedendo case, salari migliori e migliori condizioni di lavoro. Secondo le stime, organizzare i mondiali è costato oltre 15 miliardi di dollari; in molti pensano che quelle risorse potevano essere investite per provare a lenire le enormi diseguaglianze sociali che caratterizzano la popolazione.

La CUT, il principale sindacato brasiliano non manca di sostenere chi chiede migliori politiche sociali ma senza dimenticare la storia che ha portato il Brasile al punto in cui si trova: una dittatura terminata nel 1985, seguita da quasi un ventennio di rigore e politiche neoliberiste prima dell’avvento del Presidente Lula che ha avviato una lunga serie di interventi di inclusione sociale. Ne abbiamo parlato con Adi dos Santos Lima, presidente della Central Unica dos Trabalhadores di São Paulo.

I mondiali di calcio sono un’opportunità di sviluppo o come molti denunciano sottraggono risorse alle fasce sociali più deboli?

Per noi della CUT è un grande orgoglio che il Brasile ospiti un evento così importante. Si tratta di un’occasione per creare impiego e riqualificare le nostre professionalità. Probabilmente se non ci fosse stata la Coppa del mondo sarebbero stati necessari quindici, venti o trent’anni per ottenere un simile risultato. E’ grazie allo sport se possiamo migliorare il nostro paese, mostrarlo agli altri, affermarci come stato moderno e in espansione.

Però nell’ultimo anno si sono moltiplicate le manifestazioni di protesta.

Naturalmente c’è ancora molto da fare: la popolazione ha bisogno di istruzione di qualità, più investimenti in sicurezza e sanità pubblica. Si tratta di richieste sempre più pressanti e il governo non potrà ignorarle. Il paese ha attraversato una lunga fase di crescita, abbiamo raggiunto il minor tasso di disoccupazione della storia del paese – sotto il 5% - negli ultimi dieci anni i cittadini hanno avuto accesso a una serie di beni prima irraggiungibili, ma per troppo tempo le istituzioni non si sono occupate dei più bisognosi.

Questo è il motivo che spinge le persone a manifestare: non possiamo accontentarci di ciò che abbiamo. Vogliamo continuare a crescere come dal 2003 ci ha permesso di fare la politica del presidente Lula. Oggi questo processo è guidato dalla Presidente Dilma Rousseff. A lei chiediamo di continuare a investire nella politica pubblica, nel welfare, dando continuità a quanto fatto dal compagno Lula.

Quali sono state risposte del governo alla richiesta di maggiore qualità nell’istruzione e nella sanità?

La sanità è stata oggetto di molti investimenti. Il problema è che per molto tempo non ci si è curati della salute pubblica. Fino al 2002 il progetto neoliberista ha puntato sull’iniziativa privata e consegnato alle imprese una responsabilità che era del governo. Oggi nonostante gli sforzi siamo ancora molto lontani dal traguardo di una salute pubblica di qualità.

Lo stesso vale per l’istruzione: negli anni scorsi il governo ha lanciato vari progetti per favorire l’accesso all’università ai meno abbienti come il programma ProUni, che concede borse di studio a giovani che altrimenti non avrebbero potuto usufruire dell’istruzione accademica.

Quanto è alta la preoccupazione per la sicurezza nelle prossime settimane?

Il governo ha preparato un piano di sicurezza affinché l'evento sportivo non possa essere pregiudicato dalle proteste. E' evidente che in un paese democratico è meglio vedere le persone manifestare rispetto alla possibilità che un sistema dittatoriale possa impedirlo. Il nostro è un paese libero.

Il Brasile ha investito molti soldi per costruire in poco tempo numerose infrastrutture. Questo ha sicuramente influito sulla sicurezza sul lavoro.

Il Brasile è uno dei paesi con il maggior numero di incidenti, soprattutto nel settore edile. Nonostante il comparto abbia cercato di qualificare la propria manodopera, le condizioni sono per niente buone. Ma non si muore solo a causa della coppa. Si tratta di un fenomeno che oltrepassa il settore delle costruzioni: in agricoltura ci sono operai che ancora muoiono sui campi per le condizioni estreme a cui sono sottoposti, per esempio, nelle piantagioni di canna da zucchero. E' necessario che si denunci, che si migliori la qualità della vita lavorativa soprattutto in quei comparti che ancora producono cifre inaccettabili dal punto di vista della salute e della sicurezza.

Quali sono i principali problemi che il sindacato sta affrontando?

La contrazione del mercato dell’auto fuori dai nostri confini ci ha fatto subire la crisi. E’ un momento non facile da questo punto di vista. Il crollo della vendita di veicoli ha avuto un effetto diretto sulla nostra produzione industriale perché si tratta di un comparto che ha grande rilevanza per il pil. Questo ha portato delle difficoltà nell’ottenere miglioramenti delle condizioni dei nostri lavoratori.

Che tipo di confronto avete con il vostro governo e quali richieste avanzate per favorire uno sviluppo equo?

Stiamo dialogando con l’esecutivo per ottenere una riforma fiscale e creare una rete di protezione per chi esce dal ciclo produttivo. Oggi il salario di un operaio non basta per mantenere una famiglia e allo stesso tempo c'è bisogno di tutelare chi perde il lavoro. Sono  riforme da fare contemporaneamente per permettere che le imprese possano continuare a garantire i livelli occupazionali. Il nostro sindacato ha dimostrato molta responsabilità nel mantenere il dialogo con il governo senza perdere autonomia e indipendenza dalla politica. Per noi si tratta di un aspetto fondamentale.

Nelle scorse settimane la CUT – come la Cgil – è stata riunita in congresso. Quale sarà la strategia del sindacato brasiliano per i prossimi anni?

Noi crediamo che sia necessario continuare ad approfondire le relazioni con i lavoratori sul territorio. Solo così potremo aspirare a conoscere meglio la realtà. Ascoltare di più, dialogare di più per approfondire la conoscenza. Soprattutto per quanto riguarda i migranti. Sappiamo che in Italia la Cgil ricopre un ruolo fondamentale nell'integrazione dei lavoratori stranieri, noi su questo tema dobbiamo diventare più incisivi.

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