Nel 2011 in Bangladesh sono stati esportati 200 milioni di paia di jeans, di cui 86 milioni sabbiati. Sono oltre duemila gli addetti al sandblasting, l'uso di sabbia sparata ad aria compressa sui jeans per ottenere il look consumato e vissuto tanto di moda, una tecnica pericolosissima per la salute dei lavoratori, perché provoca
silicosi fulminanti. A un anno di distanza dal lancio della mobilitazione Killer Jeans, e dai solenni impegni presi dai maggiori produttori mondiali di calzoni sportivi (H&M, Levi's, C&A, Esprit, Lee, Zara e Diesel), la campagna Abiti Puliti, lanciata dal cartello di associazioni e sindacati Clean Clothes Campaign, si è rivelata un vittoria apparente.
Lo racconta Avvenire, che spiega come “dalla verifica sul campo in sette stabilimenti di sabbiatura in Bangladesh - con foto e interviste agli operai - è emerso ora che la sabbiatura non è stata affatto sospesa, qualunque siano state le istruzioni dei committenti. O i marchi hanno raccontato bugie, oppure non hanno verificato il rispetto del cambio di indirizzo”. ‘La situazione è molto grave’, dice Deborah Lucchetti, portavoce della campagna Abiti Puliti. ‘Al contrario di quanto sostengono pubblicamente - spiega - i marchi non sono disposti a modificare lo stile dei loro prodotti. E nemmeno a rivedere tempi e costi di produzione, per permettere ai fornitori di adottare metodi alternativi che comportino lavorazioni più sicure. Il risultato è che continuano a incentivare l'uso, clandestino o alla luce del sole, della sabbiatura’
Moda e diritti, la sabbiatura uccide ancora
30 marzo 2012 • 00:00