Little boy. Difficile pensare che davvero un nome così affettuoso possa appartenere alla bomba atomica sganciata su Hiroshima dagli americani il 6 agosto del 1945, a guerra ultimata. Eppure è così e Fat boy si chiamava quella che tre giorni dopo piombò per la stessa mano su Nagasaki: due nomi che sono un sovrappiù di spietatezza in un’azione militare unica in tutta la storia, come lo fu la scelta di Hiroshima, sulla quale venne dirottato "Enola Gay", il nome del bombardiere che trasportava Little boy. L’aereo era stato indirizzato su Kokura, un importante centro industriale giapponese, sopra il quale nubi e fumo impedirono la mira del bersaglio. Da qui la decisione di puntare su Hiroshima e compiere la strage, uccidendo oltre 140mila persone. 

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GIAPPONE HIROSHIMA DOPO LA BOMBA ATOMICAFOTO © AG.SINTESI (AG.SINTESI)

Edifici, infrastrutture, campi coltivati furono completamente distrutti, la maggior parte di coloro che non morirono rimasero gravemente ustionati e feriti, mentre subito dopo l’esposizione alle potenti radiazioni causò prima una serie di sintomi, tra i quali la perdita di capelli e violenti disturbi gastrointestinali, poi un’impennata di casi di cancro e di una serie di patologie croniche con esito mortale, sino ad arrivare a mutazioni del Dna che si manifestarono nei figli di uomini e donne contaminate con gravi malformazioni e deficit. Ancora oggi la popolazione paga gli effetti fisici, e non solo, dello sganciamento dell’atomica a distanza di otto decenni.

L’80° anniversario  

“La memoria dei 38.000 bambini uccisi dalle bombe atomiche di 80 anni fa apra i nostri occhi sulle migliaia di bambini uccisi a Gaza e in tutta la Palestina. 1945-2025 la storia non insegna e migliaia di persone vengono sterminate con le armi da fuoco, della fame, della sete, delle malattie”. È l’appello dei Beati costruttori di pace che in occasione di questo anniversario ci conduce dal passato al presente, come ci spiega Lisa Clark, vicepresidentessa dell’associazione pacifista e attivista dell’Ican.

Clark si concentra quindi sull’incremento a livello globale della spesa in armamenti e sul rapporto della Campagna internazionale per l'abolizione delle armi nucleari (Ican), da poco tradotto in Italiano e visibile sul sito della Rete pace e disarmo. Un rapporto che certifica per il 2024 l’incremento rispetto al 2023 de l’11% delle spese nucleari dei nove Paesi che detengono l’atomica, raggiungendo i 100,2 miliardi.  

L’attivista inizia con il ricordarci che il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari obbliga i Paesi aderenti a smantellare i propri arsenali e che invece ora alcuni di questi Paesi stanno addirittura sviluppando nuove armi dotate di tecnologie all’avanguardia.

“Negli anni 80 – ci dice – gli ordigni nucleari erano circa 70.000 tra Stati uniti e Unione sovietica, ora si è arrivati a 11.000 oltre a un altro migliaio sparso in tutto il mondo. Dopo una flessione negli anni ‘90 adesso, insieme all'enorme aumento delle spese per le armi convenzionali (compreso il Riarm Europe), vediamo anche quello per gli armamenti nucleari e ciò ci rende veramente preoccupati”.

E l’Italia?

L’Italia non fa parte dei nove Paesi sopra citati, ma ospita 35 armi nucleari 80 volte più potenti di quella lanciata su Hiroshima nelle basi di Aviano e Ghedi. Si tratta di testate B61-12 che fanno parte di un programma di ammodernamento dell’arsenale nucleare statunitense. “Come scrive Francesco Vignarca nella sintesi del rapporto sulle spese della Rete pace e disarmo – aferma Clark – c'è un deficit terribile di democrazia sul nucleare: mentre sul convenzionale riusciamo ad avere molte informazioni, anche se non tutte, sul nucleare è molto molto più difficile”.

In particolare per noi, che siamo un Paese ospitante di armi di proprietà altrui, “è impossibile avere una dichiarazione del governo italiano in materia, da qui il terribile deficit di democrazia che ci impedisce anche di fare il ‘cane da guardia’. L'opinione pubblica invece ha il diritto di sapere, per questo, nonostante l’opacità delle informazioni, come associazioni siamo riusciti ad avere accesso ad alcune informazioni che confermano le nostre preoccupazioni”.

Clark confida nel movimento di opinione contro le spese militari che sta ora diventando molto forte: “Grazie al rapporto Ican abbiamo la visione di una tendenza globale e questo ci aiuterà molto dal punto di vista dell’opposizione popolare e delle organizzazioni non governative”.  

Più fondi per ordigni nucleari che per scopi umanitari

C'è qualcosa in quel rapporto che colpisce forse ancor più dei numeri: la comparazione tra le spese in armi nucleari dei 9 Paesi e quanto invece ognuno di loro versa alle Nazioni Unite per la pace, il benessere, lo sviluppo, la difesa dell'ambiente. “Ben 28 volte il bilancio annuale dell'Onu è stato speso da chi possiede armi nucleari per ammodernarle e farle aumentare di numero nei loro arsenali. È assolutamente scandaloso”, dichiara Clark che però insiste nel volere vedere i segni di un cambiamento.

“La Stop Re-Arm Europe, che è una delle coalizioni europee contro il riarmo – prosegue -, sta lavorando bene facendo sapere che le spese per il settore militare sottraggono soldi alla ricerca, anche a quella sanitaria, oltre che al welfare. C'è un movimento di popolo che funziona, che si sta mettendo insieme in modo unitario, una cosa che alla quale purtroppo non siamo abituati.

Quello che è il nostro faro sono le testimonianze delle vittime delle bombe nucleari, perché ci forniscono la base delle conoscenze necessarie per portare avanti le nostre lotte. L'unica cosa che conta veramente è la sicurezza di tutti, non di una parte contro l’altra, non di uno stato contro un altro e per questo è necessario ascoltare le voci di chi ha subito i danni per capire in che modo evitare che ci siano altre persone che debbano subirle. Per questo abbiamo sottoscritto la candidatura al premio Nobel per la Pace ai sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki”, per dire ‘mai più’ in un momento in cui le guerre in corso stanno risvegliando i timori per una minaccia nucleare che le grandi potenze hanno rispolverato.  “L'uso o anche la sola concreta minaccia di introdurre nei conflitti armamenti nucleari – ha affermato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella in un messaggio – appare crimine contro l'umanità”.

Per questo la mobilitazione “Italia, ripensaci”, promossa da Rete pace disarmo e Senzatomica, per l’80° anniversario delle stragi nelle due città giapponesi “invita tutte e tutti a mobilitarsi, a diffondere consapevolezza, a fare pressione sulle istituzioni. L’obiettivo è chiaro: costruire un mondo in cui Hiroshima e Nagasaki non siano solo il ricordo di una devastazione senza precedenti, ma un continuo monito alla necessità di mettere le armi nucleari fuori dalla storia”.