Una storia incredibile ma purtroppo vera. Un’ingiustizia palese nei confronti delle vittime dell’amianto. Una lunga battaglia sindacale che alla fine ha portato alla soluzione. La vicenda è diventata un film: “Amianto. Genova: storia di una lotta operaia” dei registi Ugo Roffi e Ludovica Schiaroli, realizzato di concerto alla Cgil  e alle sue strutture. Un lavoro importante e potente, che sta girando festival per uscire dalla realtà locale e raccontare a tutti la sua storia.

Si tratta di un docufilm di 30 minuti, prodotto dalla Camera del Lavoro di Genova, dallo Spi Cgil Genova e Liguria e dalla Fiom Cgil Genova. 

La storia

Il racconto, appunto, è da film: oltre 1.400 lavoratori, alcuni malati e perfino deceduti per esposizione all’amianto, sono stati indagati dalla Procura di Genova come truffatori, dimenticando i danni inoppugnabili provocati dall’asbesto. L’indagine, iniziata nel 2006, ha visto la magistratura genovese inquisire tutti gli operai per un periodo di tempo di dieci anni, finché nel 2016 l’inchiesta è finita nel nulla.

Grazie anche alla mobilitazione : una lotta vincente e unica, ricorda la Cgil, perché mentre nel resto venivano riconosciuti i diritti dei lavoratori esposti solo a Genova questi sono stati posti sotto inchiesta. Da parte sua, il sindacato ha sempre chiesto “chiarezza, verità e giustizia anche per restituire la dignità ai malati, alle vittime, ai loro familiari, alla classe lavoratrice offesa con accuse infondate e infamanti”. C’è poi il paradosso che, anche nel periodo dell’inchiesta, di amianto si è continuato a morire: tra il 1994 e il 2020 l’Inail ha registrato in Liguria oltre 3.600 decessi provocati dall’esposizione all’amianto, di cui oltre la metà proprio a Genova.

Il film

Il film si dipana attraverso il racconto di alcuni protagonisti della lotta: Albino Ostet, ex lavoratore dell’Ansaldo Energia, Barbara Storace, l’avvocato che ha seguito le cause civili per conto del sindacato, il giornalista ed esperto Marcello Zinola. Insieme a loro ascoltiamo le parole di Ivano Bosco, allora segretario della Cgil di Genova, Armando Palombo allora delegato per la Fiom Cgil e Igor Magni, segretario generale della Camera del Lavoro.

Nel corso della visione le immagini di Genova nel presente si alternano a filmati, foto e materiali dagli archivi della Camera del lavoro, della Biblioteca Berio, della Biblioteca Universitaria, della Fondazione Ansaldo, delle Teche Rai e di giornalisti e giornaliste genovesi. Le parole e i volti si assemblano tra loro, raccogliendo le testimonianze ma anche la protesta in piazza, tutto concorre a formare gradualmente il disegno di complessivo di questa “brutta storia”.

Magni, Cgil: una grande battaglia operaia

A commentare il film con Collettiva è proprio Igor Magni, segretario generale della Cgil di Genova. “È stata una grande battaglia operaia – esordisce -: è nata dalla risposta dei lavoratori e del sindacato nei confronti dell’inchiesta, avviata per la denuncia del dipendente di un patronato autonomo. A finire tra gli imputati non sono stati i padroni, ma i lavoratori che hanno pagato pene pesantissime, cioè i tantissimi morti e malati sul territorio genovese. Il risultato? Dieci anni di tensione: oltre 1.400 uomini e donne hanno ricevuto avvisi di garanzia, si sono visti revocare centinaia di pensioni trovandosi improvvisamente senza reddito”.

A quel punto la Cgil è intervenuta con forza. “Abbiamo fatto la contro-indagine - ricorda Magni -: abbiamo raccolto tutti i dati sui morti e malati, si è costituita una cassa di resistenza per coloro che non avevano più pensione, quindi non sapevano come vivere. E poi abbiamo presentato un esposto alla Procura di Genova, contando anche sull’attività di sostegno dei parlamentari genovesi, sia di destra che di sinistra”.

Il problema è ancora aperto

I lavoratori nell’inchiesta erano indicati come truffatori: “Ciò ha provocato anche situazioni di depressione, sembrava fossero ladri o furbacchioni, cioé da malati sono passati per truffatori. Alcuni di loro – addirittura - non hanno fatto in tempo a vedere la fine della vicenda perché sono morti a causa dell’amianto. I casi infatti aumentano di 130 l’anno in tutta la Liguria: il nostro impegno continua – assicura Magni –, ancora oggi ci sono probabilmente oltre un milione di siti con amianto in tutta Italia. C’è un problema legato alle risorse per la bonificazione, perché quelle previste sono insufficienti”.

Nel caso di Genova, conclude, “ancora una volta i lavoratori e il sindacato dal basso sono riusciti a far partire una mobilitazione che ha sbloccato la situazione”.

Parola ai registi

Il regista Ugo Roffi ci racconta la genesi del film: “Il progetto era in cantiere da qualche anno con i collaboratori che hanno seguito tutte le fasi da vicino. Prima ci siamo documentati col materiale fornito dalla Cgil e col libro La strage silenziosa di Zinola e Marco Grasso; poi abbiamo fatto degli incontri per decidere quali potevano essere i testimoni adatti a raccontare la storia da tutte le prospettive”. Un lavoro che si è formato anche in corso d’opera: “Abbiamo iniziato ad agire senza avere in mano tutto il materiale necessario, dopo un lungo processo siamo riusciti a portare a casa l’intero montaggio”.

Così la co-regista Ludovica Schiaroli, che ha realizzato le interviste: “Lavoriamo molto in pre-produzione: Ugo prepara una scaletta con contenuti e immagini, cerchiamo di avere chiaro ogni punto della storia. Poi chiamo gli intervistati, ci parlo in privato e inizio a entrare in confidenza. Insomma, sento prima le persone: soprattutto Albino, in questo caso, che ha una storia dolorosa e una lotta durata dodici anni”.

“Quando siamo arrivati davanti all’obiettivo – quindi – abbiamo realizzato l’intervista vera e propria, naturalmente: nel nostro metodo non c’è mai una voce narrante perché non ci piace suggerire cosa pensato, poi è compito di Ugo mettere insieme tutto e donargli un senso in sede di montaggio”. Montaggio che è durato quattro mesi.

Un rapporto di amicizia

Ugo Roffi ci tiene a specificare: “Il rapporto con le persone nel film non è professionale: si è formato un legame di amicizia, poi ci siamo rivisti, si è costruita una relazione fuori. Per noi è stato un arricchimento”.

A proposito delle location: “Curiamo molto la luce e l’ambientazione: nel film una è la Camera del Lavoro che è stata un po’ più semplice, l’altra è lo stabilimento dell’Ilva che si è rivelato più complesso, siamo entrati nel capannone dopo aver superato le misure burocratiche e di sicurezza”.

La grande lotta va diffusa

Oltre al gesto cinematografico, inevitabile chiedere cosa lascia questa vicenda, agli stessi autori del film. Così Roffi: “Ciò che emerge è che la battaglia è stata vinta con gli strumenti tradizionali del Novecento, come la contro-inchiesta e la raccolta fondi per garantire il reddito. Gli strumenti del secolo scorso vanno aggiornati al Duemila ma non sono superati, anzi funzionano ancora perché il meccanismo di oppressione non è mai cambiato”.

Aggiunge Schiaroli: “Già conoscevo la vicenda, è una storia incredibile, se la racconti fuori da Genova non ci credono. Era giusto farci un film per ridare dignità ai lavoratori. Ora siamo stati selezionati in due festival – conclude –, vogliamo portare la vicenda all’esterno perché è stata una grande lotta, di questi tempi va raccontata e diffusa”.