Occorre mantenere in Italia la capacità produttiva e occupazionale, insieme all'implementazione della ricerca & sviluppo, di Fca. È questo il messaggio lanciato dal rapporto “Mobilità Auto, il futuro è adesso. Il posizionamento competitivo del gruppo Fca”, realizzato dalle Fondazioni Claudio Sabattini e Giuseppe Di Vittorio. Il progetto di ricerca è diviso in due parti: in questa prima si analizza il gruppo Fca (con particolare attenzione agli stabilimenti italiani) nel contesto delle trasformazioni in corso nelle nostre società, mentre la seconda parte della ricerca – già in pieno svolgimento – affronterà i temi delle condizioni di lavoro e delle trasformazioni dell’organizzazione della produzione e del lavoro.

Il rapporto viene presentato oggi (mercoledì 11 ottobre) a Roma, presso la sede della Cgil nazionale (in corso d’Italia 25), dalle ore 10 alle 17, in occasione di un convegno sulle politiche della mobilità e il futuro del settore auto e della componentistica in Italia . Un’iniziativa, promossa dalla Cgil, dalla Fiom, dalla Fondazione di Vittorio e dalla Fondazione Claudio Sabattini, che sarà conclusa dal segretario confederale della Cgil Maurizio Landini. Previsto l'intervento della segretaria generale della Fiom Francesca Re David. All’evento partecipano il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Graziano Delrio e il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda.

 

L'analisi degli studiosi parte da un assunto: il sistema della mobilità, di cui l’auto rappresenta un capitolo fondamentale, sta cambiando molto. La popolazione del mondo si concentra a maggioranza nelle città e vive dunque una condizione urbana. La mobilità, così, appare sollecitata da problemi di carattere ambientale (connessi alla sostenibilità), ma anche relativi all’impiego del tempo (l’essere costretti a trascorrere varie ore nel traffico urbano induce a progettare la guida automatica dei veicoli, in modo che chi vi è a bordo possa fare altro, invece di essere assorbito dalle funzioni della vettura). Problemi che riguardano l’Occidente, ma ancor più l’Oriente, che li sperimenta su scala enormemente più vasta.

L’Europa appare oggi come una realtà di transizione. È un mercato importante e sofisticato, poiché composto da soggetti che esprimono una domanda di mobilità molto articolata e differenziata. E si trova a giocare una partita su tre fronti: quello del rapporto con l’esperienza americana, in declino dopo l’abbandono del mercato continentale da parte di General Motors;
 quello del rapporto con l’Asia, in crescita per l’aumentata presenza dei produttori asiatici, molto interessati al mercato continentale; quello della ridefinizione del suo modello, come dimostrano sia le vicende dell’industria dell’auto tedesca sia il recente primato francese, conseguito proprio grazie all’alleanza tra Renault e Nissan, che si sta aprendo ad altri produttori asiatici.

Di qui la posizione del documento, per quanto riguarda il settore dell’auto europeo, a favore di una vera e propria transizione su scala continentale che deve vedere un ruolo dell’attore pubblico. La transizione europea ha delle sue specificità legate alla sua storia di urbanizzazione e alla sua attuale situazione demografica. Questi elementi peculiari possono costituire una risorsa per ritagliarsi nello scenario internazionale un ruolo. Tale ruolo dovrebbe puntare a costruire un nuovo modello di urbanizzazione basato su nuovi modelli di mobilità come prefigurato nell’ipotesi di metropoli post-automobile.

L’auto come prodotto deve fornire una risposta ai problemi di congestione del traffico e di inquinamento. La Cina, seguita dall’India, si sta posizionando come il paese leader nella costruzione di risposte basate su auto con propulsioni a basso o nullo inquinamento. Molte case automobilistiche occidentali, tra queste la Volkswagen, e molti attori della nuova economia digitale investono considerevoli somme di danaro per dare risposte a questi due problemi: per quanto riguarda la congestione, la risposta sta nelle vetture autonome integrate, tramite la connettività del cloud computing, con dei veri e propri sistemi di mobilità metropolitana (inclusi i mezzi pubblici); la combinazione di vetture autonome con forme di car sharing rappresenterebbe la soluzione ”finale”. Per quanto riguarda l’inquinamento, nuovi sistemi di propulsione, dunque il superamento dell’uso degli idrocarburi; tale soluzione sarà quindi una delle diverse versioni dell’elettrico o una loro combinazione. In quest’ottica viene vista anche la soluzione dell’idrogeno che in ultima istanza alimenta una cella combustibile che produce elettricità.

E passiamo al gruppo Fca. Sta raggiungendo gli obiettivi finanziari: riduzione del debito industriale, aumento progressivo degli utili, valorizzazione delle azioni, nonostante una contrazione delle vendite in due dei principali mercati per Fca (Stati Uniti e Brasile). Ma sul piano produttivo, rispetto alle principali tendenze innovative del settore, Fca non ha una posizione di leadership e, nel caso dell’articolazione geografica dei mercati, appare pericolosamente mal posizionato o addirittura non presente nei mercati in crescita.

La scelta dello spostamento verso l’alto di gamma in Italia ha avuto effetti positivi sui conti aziendali, ma permangono o si accrescono problemi di volumi e di occupazione. In assenza di un piano che diversifichi, innovi e aumenti i modelli, i principali stabilimenti di assemblaggio rischiano un definitivo esaurimento degli ammortizzatori sociali a partire da Mirafiori e Pomigliano-Nola. Ma anche gli stabilimenti di Modena e Melfi dell'auto vedono aumentare le incertezze occupazionali. La strategia aziendale che in Italia prevede la sola produzione di auto ad alta marginalità “produzione di lusso” e la progressiva riduzione fino all'esaurimento di produzioni come Punto, Panda e Mito ridurrebbe complessivamente i volumi. Resta aperto l’interrogativo sul ruolo e sul processo di riorganizzazione della ricerca & sviluppo aziendale sia sul processo produttivo che interessa la Comau sia sulla produzione, visto che in parte sono in Magneti Marelli per la parte di componentistica, altre allocate negli Stati Uniti come le sperimentazioni sulla guida autonoma, altre ancora divise tra gli enti centrali e il progetto del polo modenese.

Il sindacato è per il mantenimento in Italia dell'integrità della capacità produttiva e occupazionale, insieme all'implementazione della ricerca & sviluppo di Fca: un ridimensionamento avrebbe effetti sociali e al sistema produttivo del paese molto gravi perché impatterebbe anche sulla filiera della componentistica e dello sviluppo delle tecnologie high-tech. I livelli occupazionali a rischio non sono solo quelli operai, ma anche quelli tecnici e ingegneristici; verrebbe insomma colpita la capacità manifatturiera del paese in tutti i suoi aspetti.

Inoltre, Fca ha una capacità produttiva istallata in Italia di almeno 1.400 mila veicoli, lo scorso anno ne sono stati prodotti meno di 1 milione: in assenza di un piano che diversifichi l'alimentazione, implementi le gamme in produzione e lanci nuovi modelli, non solo non potrà realizzarsi la piena occupazione, ma sono messi a rischio anche gli investimenti e l'occupazione delle aziende fornitrici.
 Per altro lo smembramento di Fca Italia o lo scorporo di pezzi rilevanti come quelli legati alla ricerca & sviluppo abbasserebbero il livello del suo posizionamento verso quello di compiti manifatturieri subordinati, trasformando l’Italia in un paese marginale in competizione con i paesi che hanno ridotto costo del lavoro e alta flessibilità. Un esempio eclatante è il futuro di un modello come la Panda, oggi prodotta a Pomigliano, la cui nuova versione, secondo le dichiarazioni dell'amministratore delegato, sarà realizzata in Polonia.

In Europa, come nel mondo, sono tornate politiche stringenti di carattere nazionale sull'automotive. È indispensabile che in Italia si apra un confronto di media e lunga scadenza in un paese che non può subire i cambiamenti, ma esserne coprotagonista, nonostante ancora oggi la produzione di veicoli è di un solo player, mentre nella componentistica abbiamo assistito a una positiva crescita della diversificazione a partire dalla Magneti Marelli.

Nel breve periodo è necessario avviare un processo di rigenerazione del settore che impedisca la perdita di capacità produttiva istallata sia di assemblaggio che di primo o secondo impianto: le crisi di stabilimenti come Bosch o Landi sono due estremi dello stesso problema, una produce per il diesel, la seconda per il Gpl e il metano. È indispensabile che si consolidi la base produttiva e occupazionale e che siano garantiti gli ammortizzatori sociali necessari al mantenimento dell'occupazione e delle professionalità. La rigenerazione del settore necessita di un programma formativo per chi è in produzione e di incentivazione della ricerca & sviluppo individuando precise linee di ricerca che sviluppino gli elementi principali del cambiamento in corso: sicurezza, eco-compatibilità, connettività, condivisione. Aprire un confronto sulla legislazione nazionale rispetto alle novità che la sperimentazione dell'auto a guida autonoma pone sulla responsabilità e il sistema assicurativo.

L'Italia è il paese con la più alta presenza di auto con motori a carburante alternativo, gpl e metano, ma con la più bassa di auto elettriche: investire in una armonizzazione maggiore con incentivi e disincentivi non più su base nazionale in Europa deve servire a colmare la distanza produttiva nazionale. L'Italia non può rimanere fuori dalla sfida sulle batterie e i sistemi di accumulo che vede la partenza a Bruxelles di un consorzio europeo avendo il know-how di Terna.

L'innovazione passa anche attraverso le politiche di Industria 4.0, che devono servire a orientare le imprese verso un miglioramento del processo produttivo che investa sulla qualità del prodotto e del lavoro e promuova un ruolo attivo e consapevole di chi lavora, per impedire un impatto sociale negativo, come del resto vi è la necessità di intervenire sull'impatto che l'allungamento dell'età pensionabile ha sia sui lavoratori che sulla produttività.

Tutto ciò richiede anche un intervento pubblico per la realizzazione di un piano di mobilità nazionale che rilanci la mobilità collettiva pubblica, la filiera e la produzione dei bus, anche attraverso la partecipazione diretta di Cassa depositi e prestiti. L'investimento pubblico previsto dal governo sull'ammodernamento del parco autobus circolante è frammentato in più centrali di acquisto che non prevedono alcun rapporto tra qualità del lavoro e territorio come accade in altri paesi europei. Un piano che punti alla realizzazione di sistemi urbani multimodali che devono costituire il sistema al cui interno si posiziona il ruolo delle autovetture. Ciò è possibile facendo ricorso al sistema di imprese italiane che hanno le competenze per realizzare questo piano. Un asset industriale dell’Italia è rappresentato dal sistema si fornitura dell’auto che da tempo si è posizionato su scala internazionale raggiungendo livelli di competenza che richiedono solo un coordinamento di accompagnamento della transizione prima delineata.