“Chi non fa l’inchiesta non ha diritto di parola”, dicevamo all’incirca quand’eravamo giovani e “gruppettari” affascinati dal maoismo. I tempi cambiano, ma analizzare e documentarsi resta alla base di un corretto lavoro politico e sindacale. La Cgil, il suo sistema di servizi e l’Inca in particolare, e organizzazioni vicine come la Fiei (Federazione italiana emigrazione immigrazione) hanno storicamente costruito un rapporto di rappresentanza e servizio verso le comunità degli Italiani all’estero.

Un’altra Italia, se guardiamo ai numeri dei cittadini e dei discendenti, vive all’estero, in Europa e in America Latina soprattutto. Un’Italia che ha lasciato la terra madre in cerca di lavoro, di migliori condizioni di vita e di fortuna. Un’Italia che ha contribuito a costruire la ricchezza – e spesso il movimento democratico e sindacale – dei paesi dove è emigrata e, attraverso le rimesse, la ricostruzione e il benessere di molte zone depresse del Sud, ma anche del Nord del “Belpaese”. Il flusso emigratorio si è fermato con gli anni del “boom” economico e si è spesso trasformato in emigrazione interna.

Dalla fine degli anni ottanta, per la prima volta nella sua ancor giovane storia, l’Italia è diventata più un paese di immigrazione che di emigrazione. Ma in questi ultimi anni l’esperienza – e anche alcuni dati, seppur non vi siano ancora analisi approfondite – ci dice che è in atto anche un nuovo fenomeno migratorio, diverso da quello storico. Si tratta per lo più di giovani – nel lavoro presentato in queste pagine li valutiamo in 600.000 negli ultimi dieci anni –, laureati o comunque qualificati (ciò non vuol dire che poi non si adeguino a lavori manuali e precari), che vedono soprattutto nella nuova “patria” europea lo sbocco, transitorio o definitivo, di lunghi percorsi scolastici, di difficile acquisizione di un lavoro in Italia, della possibilità di un migliore inserimento, sia formativo che lavorativo, fuori del nostro paese.

Anche per questa nuova emigrazione vale spesso la condizione di non rappresentare una libera scelta, ma una necessità di fronte alle magre prospettive di casa propria. E se da un lato le nuove generazioni hanno l’Europa come dimensione domestica, dall’altro non sono minori, spesso, i disagi e le sofferenze di chi è in qualche modo costretto a lasciare famiglia, amici, ambiente proprio per cercare opportunità all’estero.

Mentre il governo – anche qui, finora, non vediamo discontinuità fra i “tecnici” e i berluscones – taglia le risorse per i servizi e la cultura italiana all’estero e in Parlamento rimane un disegno di legge che vorrebbe cancellare la rappresentanza sociale dai Comites e dal Consiglio generale degli Italiani all’estero (Cgie), non rieletti da più di due anni, la Cgil conferma il suo impegno verso la vecchia e la nuova emigrazione e riflette su un adeguamento dei propri strumenti di tutela e rappresentanza.