Walter Cerfeda, direttore di Ires Marche, è intervenuto stamattina a RadioArticolo1 (qui il podcast) per parlare della situazione della sua regione dal punto di vista del'economia e del lavoro. I dati sono perlopiù negativi, a cominciare dalla disoccupazione: 18,7%, il triplo di quattro anni fa. Lo scoraggiamento sociale  si dimostra per il fatto che il 23% dei giovani disoccupati non studia, non lavora nè fa attività formativa, visto che c'è stato un crollo del 10,5% delle iscrizioni dei marchigiani all'anno accademico 2013-14.

Questa è la fotografia attuale. "Ma Unioncamere - osserva Cerfeda - dice che è possibile un'inversione del Pil per il prossimo anno. Ciò, non comporterebbe alcun vantaggio sul mercato del lavoro, dove le assunzioni a tempo indeterminato sono una ogni dieci, il 53% sono contratti a termine, 13,3 le somministrazioni, 8,1 gli intermittenti, 7 i parasubordinati e 3 l'apprendistato. Ma quel che risulta più preoccupante è che la crisi, di natura finanziaria, è stata affrontata dal 2008 in poi solo con strumenti finanziari, abbandonando a se stessa l'economia reale, senza uno straccio di politica industriale, senza un minimo di aiuti alle imprese per riorganizzarsi".

"Il problema delle Marche, semmai la ripresa arriverà – secondo Cerfeda –, è che ha la stessa struttura produttiva di prima, per giunta deteriorata dalla crisi, anzi peggiorata, troppo piccola, sottodimensionata rispetto alle sfide del mercato aperto, sottocapitalizzata, poco internazionalizzata, con una forza lavoro di medio-bassa qualificazione, e con la missione dei beni durevoli, quelli più esposti al commercio internazionale". Altra questione importante, la specializzazione dei sistemi industriali.

"Nelle Marche – osserva – il prodotto è fatto di stile, qualità, efficienza, accuratezza, ingegno, bellezza. Con tali doti le imprese locali hanno conquistato nicchie di mercato importanti mel mondo, come nel calzaturiero. Il problema è che i nostri attuali concorrenti, ovvero Stati Uniti, Cina e Germania hanno attualmente il controllo della domanda, si sono presi le grandi catene di distribuzione e generano alti volumi di fatturato".

Ora il rischio è che i punti di eccellenza del modello marchigiano diventino preda dei grandi gruppi internazionali, trasformando i distretti locali in soggetti subfornitori e contoterzisti. "È un pericolo che va prontamente evitato – rileva Cerfeda –. In che modo? Ci sono varie soluzioni possibili: la prima, quella che ha adottato Ferderlegno, quando è andata in Cina senza portare i cataloghi dei mobili da arredamento di Marche, Friuli o Brianza, invece puntando a stipulare accordi con le due principali catene di distribuzione cinesi. Per invertire la tendenza, non basta più il marketing territoriale, ci vuole il controllo della distribuzione e quindi occorre passare dall'offerta alla domanda. Seconda soluzione possibile, le diseconomie esterne: non basta più avere un'impresa competitiva, il problema è che bisogna rendere competitivo il territorio, dove però ci sono i nodi delle reti infrastrutturali".

In particolare l'autostrada Fano-Grosseto, "che ormai ha lanciato la sfida alla Salerno–Reggio Calabria a chi arriva ultimo; al fatto di avere grandi interporti come Jesi senza che siano in rete a livello nazionale; a porti come Ancona, incapaci di lanciare offerte alle grandi compagnie armatoriali e quindi tagliati fuori dal mercato internazionale delle merci; al fatto di avere nelle regione quattro prestigiose università e 647 ricercatori, che però non interagiscono fra di loro. Cosa ci impedisce di metterli in rete, di dargli una committenza sulla ricerca applicata, utilizzando fondi strutturali Ue? Idee e progetti esistono, noi siamo pronti a confrontarci, ma serve una condizione: che in questo paese non si spezzi il rapporto fra produttori ed economia, senza il quale non si può avviare una nuova fase di crescita e ciò è un errore imperdonabile".