Non c’è più tempo, non si può tergiversare, né rassegnarsi alla sola reazione di fronte alle emergenze. Le mafie sono forti, stanno crescendo, stanno vincendo. E non sono un mondo a parte, ma sono “una parte del nostro mondo”, “vivono tra noi e cambiano insieme a noi”. E il loro peso, il peso di criminalità, corruzione e malaffare, si ripercuote sulla vita di tutti, ma in primo luogo su quella dei lavoratori. È un grido di vero allarme quello che Rosy Bindi, don Luigi Ciotti, e Gianna Fracassi hanno lanciato all’unisono nel corso dell’iniziativa “Legalità e Lavoro” di sabato 13 giugno, nel secondo giorno delle Giornate del Lavoro Cgil (qui il podcast di Radioarticolo1).

Rispondendo alle domande di Gianni del Vecchio, vicedirettore di Huffinghton Post, la presidente della Commissione Antimafia, il fondatore di Libera e la segretaria confederale Cgil hanno descritto un quadro di grande preoccupazione, aggravato certamente dalle ultime vicende di Mafia Capitale, di fronte al quale, però, ancora non si vede una reazione adeguata.


“Non ci si rende conto della gravità della situazione – ha detto Rosy Bindi – mafie e corruzioni sono ancora temi da specialisti. Ma se questo non diventa patrimonio comune e oggetto di un’azione ordinaria della politica e delle istituzioni, allora non riusciremo a fare passi avanti”.

Bindi, facendo riferimento alla cosiddetta lista degli “impresentabili”, si è detta “dispiaciuta per le incomprensioni dell’ultimo metro”, ma ha difeso l’operato della commissione “che non può essere delegittimata”. Una difesa condivisa da Ciotti e Fracassi: “È stato fatto un ottimo lavoro per porre paletti e informare i cittadini, ma quando dagli slogan si è passati a nomi e cognomi è arrivato il fango”.

Due in particolare i temi al centro della discussione. Il primo: la questione degli appalti e dell’illegalità che pervade il sistema. “Non è possibile che a Roma per ogni dirigente ci sia una stazione appaltante”, ha detto Rosy Bindi, evidenziando un nodo problematico che riguarda comunque tutto il paese dove – ha ricordato Gianni Fracassi – non si conosce esattamente il numero delle stazioni appaltanti, ma si stima che possano essere tra le 30mila e le 35mila. E allora, un primo intervento concreto deve arrivare su questo versante, censendo e riducendo.

L’altro grande tema è quello dei beni confiscati. Una battaglia per restituire alla collettività il maltolto alle mafie, che Libera e Cgil portano avanti insieme. Ma ad oggi – hanno ricordato Ciotti e Fracassi – oltre l’80% delle aziende sottratte alle mafie (circa 7mila) non riesce a ripartire, producendo un messaggio devastante: lo Stato che fallisce laddove con la mafia si lavorava.

Ecco allora che serve un intervento del legislatore e c’è un disegno di legge che sarebbe dovuto approdare in Parlamento entro l’estate. “Invece assistiamo ad un rinvio che mi inquieta molto – ha detto Ciotti – perché non possiamo permetterci di aspettare ancora”. “Su questi temi – gli ha fatto eco Gianna Fracassi – vorremmo vedere la stessa celerità e urgenza usata ad esempio sul Jobs Act, ma invece non sembrano essere visti come priorità”.

E a proposito di Jobs Act, è tranchant il giudizio di Rosy Bindi sulla riforma del lavoro: “Quando si indeboliscono i diritti dei lavoratori si aprono autostrade per il potere mafioso”. Perché le mafie si nutrono proprio di questo, ha aggiunto don Ciotti: “Il 61% di disoccupati dichiara di essere disposto ad accettare lavoro anche da un’organizzazione o da un’azienda in odore di mafia”. Un dato inquietante che impone “uno scatto da parte di tutti” a partire dai cittadini per arrivare alle istituzioni. "Noi da parte nostra – ha concluso Gianna Fracassi – continueremo a battere come una goccia cinese, perché sappiamo che è sul fronte della lotta alle mafie e alla corruzione che si gioca la vera partita per il futuro del Paese”.  (Fab.Ri)