È ancora immaginabile riprendere il cammino verso un’Europa politica con istituzioni finalmente democratiche? Rilanciare il sogno di Altiero Spinelli di un’Europa federale? A queste e a molte altre domande ha risposto la politologa Nadia Urbinati nel libro intervista “Utopia Europa” (a cura di Antonio Fico, Castelvecchi editore), appena arrivato nelle librerie, sostenendo la tesi secondo cui non è solo possibile sperare in una futura integrazione politica dell’Unione, ma che questa è anche l’unica via per salvare insieme il progetto europeo e le democrazie nazionali. Come si può facilmente intuire dal titolo dell'intervista, non sfugge che questa posizione possa apparire oggi a molti “utopica”.

Certo, il consenso intorno all’Unione europea è apparentemente ai minimi storici, come dimostra l’avanzata dei partiti sovranisti in quasi tutti i Paesi del continente. Dopo aver fallito l’appuntamento con una Costituzione comune nei primi anni Duemila ed essersi avvitata in una spirale tecnocratica che nega la democrazia, l’Europa fa i conti con i risorgenti nazionalismi, retaggio di una storia che sembrava ormai alle spalle. E tuttavia la recente vittoria dei socialisti in Spagna, con un programma chiaramente pro-Europa, dimostra non solo che la partita è ancora aperta, ma che spesso noi italiani tendiamo a guardare le prospettive dell’Unione in modo forse un po’ troppo pessimistico, secondo la lente del non brillante umore nazionale.

Per Nadia Urbinati, l'Europa oggi si trova davanti al seguente paradosso: “Il progetto più utopistico è anche quello più realistico. Il Manifesto di Ventotene è più realistico oggi di quanto non lo fosse nel 1940, e soprattutto è più pragmatico di quello che ha governato finora l’Unione”. Il paradosso si spiega in questo modo: l’Europa dei trattati e delle regole è oggi al capolinea. Poteva sopravvivere, senza un governo e un Parlamento pienamente legittimi, quando le condizioni di partenza tra i Paesi membri erano simili, ma non oggi che con l’allargamento a Est e la crisi economica, gli interessi tra i Paesi non sono più reciproci, come ha dimostrato drammaticamente la crisi greca. Ma anche il progetto dei partiti sovranisti appare tutt’altro che a portata di mano: la loro idea di un’Ue aperta agli europei dal Po alla Vistola, ma chiusa agli altri è irrealizzabile, sempre a giudizio di Urbinati, secondo la quale “non tutti gli europei sono ritenuti egualmente degni dai nazionalisti”.

Nell’immaginario di quelli che stanno oltre le Alpi, sottolinea la politologa, gli italiani non sono degni di fiducia, cattivi amministratori delle risorse pubbliche e corrotti. “Come avere una solidarietà con chi è ritenuto così poco credibile?”. Ma non solo. Il progetto di Europa dei sovranisti non è a portata di mano anche “perché per chiudere agli altri si finirà fatalmente per chiudere agli europei, poiché per controllare le frontiere ai non desiderati si devono rendere difficili da attraversare anche agli europei. Controllare le frontiere equivale a mettere barriere che fermano tutti comunque”.

Nel frattempo, l'Europa, come ci ricorda la politologa della Columbia University, è entrata nelle nostre vite: “Grazie alle regole comunitarie la nostra legislazione nazionale è diventata più inclusiva e rispettosa dei diritti delle minoranze; le nostre merci viaggiano in un vasto mercato; i nostri giovani si muovono in questo spazio aperto e si sentono a loro agio in un'identità europea, aperta e plurale”. Ma questo non basta più: perché l'unità europea possa salvarsi, deve trovare la forza di cambiare, chiudendo con la stagione dell'emergenza che ha caratterizzato la crisi economica, dove a prevalere sulla democrazia è stato il peso delle istituzioni meno rappresentative.

L’utopia di Ventotene. Il libro ripercorre le tappe dell'integrazione europea, a cominciare dalle grandi idee che hanno mosso il sogno di un'Europa di pace, senza più guerre. Le teorie e le culture politiche che segnarono il dibattito tra le due guerre sulla necessità di un'Unione europea, furono essenzialmente due. Importante è la tradizione secolare e illuminista, a cui si ispirarono Altiero Spinelli, Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi, contaminandola con il socialismo, nel loro “Manifesto per un'Europa libera ed unita”. E cruciale, per l'imprinting iniziale, fu anche la tradizione cattolica.

Ma oltre ai semi dell'Unione che sarà, quelle idee contenevano anche i limiti del progetto europeo, una contraddizione che è esplosa drammaticamente con la crisi economica, quando si è profilata accanto all'Europa del libero scambio e della moneta, quella ben poco democratica dell'emergenza, in cui una burocrazia "irresponsabile" e i governi degli Stati nazionali – sì, quegli stessi Stati che usano oggi l'Unione come comodo alibi per le loro responsabilità interne – si sono divisi la colpa della delegittimazione dell'Unione. Ma credere – come sottolinea Urbinati nell'intervista – che la partita si giochi solo sul piano istituzionale è un errore: l'ondata sovranista nasce da una società profondamente disgregata, che il mercato senza regole della globalizzazione ha contribuito a rendere più diseguale e ingiusta, svuotando di legittimità e potere le istituzioni democratiche.

La sinistra e il progetto europeo. C'è, arrivati a questo punto, ancora tempo per salvare il sogno europeo? Come sottolinea l’accademica, “le cose possono cambiare a patto che le forze pro-europee, e in particolare la sinistra, si assumano la responsabilità di alzare il livello della sfida, opponendo alla retorica della paura e della chiusura dei confini, che le destre propagandano, un'idea diversa di Europa, dove a prevalere sia la democrazia e non il mercato”. Solo la sinistra può rimettere in moto il progetto europeo, a condizione di riscoprire una “radicalità di contenuti” che “la porti a interpretare da un lato i nuovi bisogni di vita dignitosa e dall'altro a ritornare a essere forza di cambiamento, nel segno questa volta della democrazia e della giustizia sociale, della lotta alle disuguaglianze e alle paure di impoverimento”. Questo avverrà quando la sinistra riconoscerà l'Europa come quella naturale scelta di campo che aveva indicato Spinelli. Perché per l'utopia di Ventotene vale ancora la pena di lottare.