L’artigianato lombardo sta vivendo un periodo difficile e si trova a un punto di svolta cruciale. Tra le 83.000 imprese artigiane della Lombardia (il 18% dell’intero comparto a livello nazionale) diminuiscono le piccole e medie imprese e si contrae l’occupazione. In tutte le province della regione: si va dal -15% di Varese al -11% di Milano. È quanto emerge dal Rapporto su “L’Artigianato in Lombardia: lavoratori e imprese nella sfida del cambiamento”, promosso dalla Cgil Lombardia e curato dalla società di ricerca economica e sociale Ares 2.0 in stretta collaborazione con i rappresentanti di bacino delle Camere del lavoro territoriali e le associazioni artigiane locali. La ricerca è stata presentata oggi a Bergamo.

Il Rapporto compie un’accurata analisi statistica del sistema produttivo delle micro e piccole imprese artigiane a livello nazionale e regionale e una duplice indagine di campo che ha coinvolto imprese e lavoratori del settore artigiano lombardo.

Le imprese
La crisi ha risparmiato pochissime imprese (meno di 2 su 10 dichiarano risultati di sviluppo in termini di fatturato e occupazione nel periodo 2009-2011) e sta minando anche le prospettive di crescita (quasi il 50% delle imprese prevede una diminuzione degli investimenti). Nonostante la situazione solo il 5% delle imprese dichiara di voler uscire definitivamente dal mercato, mentre la maggior parte (oltre il 60%) propone azioni finalizzate alla diversificazione verso nuove tipologie di clienti, alla qualificazione del portafoglio committenti e alla razionalizzazione organizzativa.

La grande maggioranza delle imprese intervistate (70%) ritiene che l’innovazione rappresenti la risposta strategica più efficace per lo sviluppo e la competitività, ma solo un terzo ha dichiarato un impegno sugli investimenti nell’ultimo triennio. Appare inoltre rilevante, nel contesto del sistema artigiano lombardo, l’esigenza di allargare gli spazi di confronto e dialogo tra le imprese e le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori.

Prevale la dimensione locale del mercato: fornitori e clienti si concentrano per circa tre quarti nella regione di residenza dell’impresa, mentre resta marginale l’attività rivolta oltre i confini nazionali. Più del 50% degli imprenditori, comunque, si dice interessato a espandere le proprie attività nei mercati esteri. Solo 1 impresa su 4 prevede interventi di integrazione al reddito come forma di condivisione degli obiettivi di produttività e sviluppo con i dipendenti, e solo nel 14% dei casi tale integrazione si attua attraverso una contrattazione.

La maggior parte delle imprese ha investito in miglioramenti sul piano della sicurezza e del benessere organizzativo, e circa i due terzi hanno attivato, nell’ultimo triennio, interventi di formazione, soprattutto sul tema della sicurezza. Molte imprese dichiarano la mancanza di corsi di formazione adeguati alle proprie esigenze e quasi tutte, evidenziano disfunzioni burocratiche e difficoltà nell’accesso alle risorse finanziarie, che vanno quindi ad aggravare il deficit di competenze.

I lavoratori
Per quanto riguarda le lavoratrici e i lavoratori, l’indagine evidenzia come un modello organizzativo basato su forme di lavoro stabili si caratterizzi però per una situazione salariale eterogenea: il 47% del campione si concentra nella fascia tra 1.000 e 1.500 euro, ma esiste una parte rilevante di lavoratori che percepisce un salario tra 600 e 1.000 euro (34%) con punte minime di livelli inferiori a 600 euro (5,4%). A beneficiare di una condizione retributiva più elevata sono invece il 13% dei lavoratori, con salari mensili netti che superano i 1.500 euro. Solo il 25% dei lavoratori intervistati percepisce una integrazione individuale del reddito.

Quasi tutti (il 90% circa) si dichiarano soddisfatti delle condizioni di tutela rispetto a infortuni e malattie mentre solo il 22% si dice soddisfatto delle prospettive di carriera e poco meno della metà risulta soddisfatto della propria retribuzione. Il giudizio sul sindacato è positivo: 7 lavoratori su 10, tra quelli che risultano iscritti a un’organizzazione sindacale, si dichiarano soddisfatti del proprio rapporto con l’organizzazione di rappresentanza.

Lo scenario di crisi e il suo impatto sull’occupazione è evidente: quasi la metà degli intervistati si dice preoccupato per il proprio posto di lavoro. Circa l’attribuzione di valore alle competenze, sono ancora molti quelli che non riconoscono una centralità al capitale umano come elemento fondamentale per la costruzione di prospettive più solide dell’impresa e del lavoro. Tra quelli che hanno effettuato percorsi di formazione nell’ultimo triennio, il 60% attribuisce alla formazione un beneficio di sicurezza, di capacità operativa e di motivazione al lavoro, mentre solo il 23% ritiene che la formazione sia utile alla propria carriera, e ancor meno (18%) sono i lavoratori che pensano che la formazione possa apportare vantaggi di tipo retributivo.

D’altra parte, una larga maggioranza degli intervistati è convinta che l’impegno aziendale sulla formazione sia insufficiente, e che persista una certa sottovalutazione dell’investimento formativo come elemento strategico per lo sviluppo imprenditoriale e per la valorizzazione del lavoro.

Dai risultati della ricerca emerge, in definitiva, un quadro di luci e ombre nel quale appare sempre più opportuno individuare ulteriori spazi di miglioramento circa i modelli organizzativi, lo sviluppo del capitale umano, i fattori di competitività, le reti di imprese. Appare infine assai rilevante, nel contesto del sistema artigiano lombardo, l’esigenza di allargare gli spazi di confronto e dialogo tra le imprese e le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori, ancor più se si considerano i preoccupanti risvolti della crisi economica attuale sulle dinamiche dell’occupazione che, come evidenziato nel Rapporto, non ha risparmiato il comparto artigiano lombardo, cuore pulsante del sistema delle imprese artigiane italiane.

La presentazione del Rapporto è stata coordinata da Franco Fedele, Responsabile Artigianato CGIL Lombardia. Sono intervenuti: Luigi Bresciani, Segretario Generale CGIL Bergamo e Enrico Zucchi, Assessore al Lavoro della Provincia di Bergamo;  Giacinto Botti, Segretario CGIL Lombardia e di Clemente Tartaglione, Responsabile ARES 2.0, che presenterà il rapporto; Mario Bettini, Presidente CASARTIGIANI Lombardia, Walter Galbusera, Segretario Generale UIL Lombardia; Marco Accornero, Segretario CLAAI Lombardia, Laura Specchio, Vice Presidente Consulta Ordini Lombardia, Fausto Cacciatori, Presidente CNA Lombardia, Gigi Petteni, Segretario Generale CISL Lombardia, Giorgio Merletti, Presidente CONFARTIGIANATO Lombardia. Al termine le conclusioni di Nino Baseotto, Segretario generale CGIL Lombardia.