Nel giorno della manifestazione nazionale della Cgil, nei cortei di Roma c'erano tante voci di lavoratori. Dai giovani agli anziani, dai migranti ai disoccupati, molti simboli dell'Italia in crisi hanno sfilato per le strade della capitale, chiedendo lavoro e rispetto dei diritti. Le loro parole sono il centro di questo 25 ottobre.

Alcuni lavoratori, tra tanti, in marcia verso San Giovanni. Angelo, 56 anni, insegnante di Matera: "Sono qui con la Cgil per fermare lo scempio dei diritti che potrebbe presto verificarsi. Bisogna fermare Renzi: le riforme bisogna farle ma ci vuole equilibrio". Ansir, 32 anni, pakistano da Carpi (Mo): "Sono disoccupato da tre anni. Non c’è piu lavoro neanche in Emilia Romagna. Prima lavoravo per la raccolta delle pere, ora non più. Sono qui per il lavoro". Interessante anche la storia di Cristian, 38 anni, di Reggio Emilia, piccolo imprenditore: "Prima facevo l'operaio – racconta –, poi mi sono messo in proprio, ho una piccola officina metalmeccanica con tre addetti. La manovra del governo non va bene, abbassare i salari e ridurre i diritti non danneggia solo i lavoratori, ma anche gli imprenditori. Togliere l'articolo 18 rende i lavoratori più ricattabili".

Elisa Scanavini, invece, è impiegata in un'azienda chimica di Finale Emilia e ha 35 anni: "Ho due bambine piccole e sono qui per difendere il mio posto di lavoro contro cancellazione dei diritti e il precariato. Da noi, dopo il terremoto, la situazione è ancora più critica e l'economia non è ancora ripartita".

Simone ha 28 anni, lavora da McDonald's a Milano, è arrivato a Roma con la Filcams - il sindacato dei servizi, del commercio e del turismo - ed è, parole sue testuali, "molto incazzato". Perché? "Non è possibile - spiega - che siano sempre i diritti ad essere messi in discussione. Con le leggi in corso di approvazione, col Jobs Act, con l'abolizione dell'articolo 18 stiamo cedendo questo Paese in mano agli imprenditori. Io ho 28 anni - prosegue - ma la carta d'identità non conta. Sono un semplice iscritto che è stufo di sentirsi dire che la colpa dei mali del Paese è sempre dei lavoratori, che il costo del lavoro è troppo alto. Renzi chiede al sindacato dov'era? Io so dov'era, il sindacato. Era in questa piazza, nel 2002, a difendere i lavoratori da Berlusconi, a opporsi all'abolizione dell'articolo 18. Noi eravamo lì. Io ero un ragazzino, la vidi tutta in tv quella manifestazione. E oggi sono qui con la Cgil. Renzi invece dov'era? A cena con Berlusconi?"

Christian, sulla trentina, 10 anni di lavoro in Mediaworld, sempre a Milano, sfila poco più in là ed è preoccupato perché "il Jobs Act crea differenze e discriminazioni tra i lavoratori. Sono molto spaventato. È un primo passo, questa legge, ma non so dove porterà. Di certo non aiuterà i giovani a trovare un lavoro. Da noi la situazione è dura. Quando lo store ha aperto eravamo in 70. Ora siamo rimasti in 35. Dimezzati, e il lavoro è aumentato, con la clientela da servire e gli spazi da gestire. Ma lavoriamo sotto il ricatto del licenziamento. Non credo che i miei 35 colleghi saranno aiutati dal Jobs Act di Renzi".

Quattro lavoratori, da tre regioni diverse, con problemi forse diversi ma un sentire e una rabbia comuni. Antonio, dal Piemonte, 25 anni all'Iveco, è qui col figlio (questa è una manifestazione piena di padri e figli). "L'azienda non va bene - racconta - il mercato precipita, c'è la cassa integrazione. Nessuno di questi problemi sarà risolto abolendo l'articolo 18. E che sia il Partito Democratico a proporre misure simili, mi fa davvero arrabbiare".

Appuah, 39 anni, viene dalla Campania, anzi dal Ghana. È in Italia da 10 anni. Ora collabora con la Camera del Lavoro di Caserta e ha una risposta per Renzi: "Dov'era il sindacato? Per me c'è stato, ed è stato fondamentale. Senza il sindacato non avrei affrontato e risolto nessuno dei problemi che ho avuto, qui in Italia, e non avrei conosciuto i miei diritti".

Fioravante, 34 anni, viene dall'Umbria. Lavorava all'Antonio Merloni, un'azienda importantissima del centro Italia: frigoriferi, lavatrici, lavastoviglie. La Merloni è fallita. 1300 lavoratori licenziati solo in Umbria. 700 riassunti dalla J.P. Industries, che ha rilevato l'attività. Ma le banche hanno fatto ricorso contro la cessione al nuovo acquirente. Quindi i 700 "fortunati", tra cui Fioravante, sono in cassa integrazione, non lavorano. "È una situazione assurda - spiega Fioravante - qui c'è un imprenditore che vuole riavviare l'attività, i lavoratori che vogliono produrre, e le banche che lo impediscono. Il governo dovrebbe difendere le fabbriche dalle banche".

Accanto a lui Maria Stella, 50 anni, è tra gli ex lavoratori Merloni non riassunti: "Sono incazzata nera. Ero nel pieno della mia attività lavorativa. Mi hanno licenziato. Se mai ritroverò un lavoro, grazie al Jobs Act di Renzi, sarà senza articolo 18 e con le tutele crescenti. È una vergogna".